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Il dramma di Feste: penombra nel finale della Dodicesima Notte

La Dodicesima Notte (1601), figlia della penna di uno Shakespeare oramai maturo, è riproduzione di una realtà nella quale l’equivoco aggiunge, al proprio valore scenico e teatrale, un drammatico sapore simbolico- esistenziale.

Equivoco è il volto, il genere, equivoca è l’identità. Viola, creduto morto il fratello gemello, si traveste da uomo (Cesario) e per tale viene scambiato. Viola è un uomo agli occhi del duca Orsino, che Viola ama e al servizio del quale si pone, agli occhi di Olivia, che deve conquistare per conto del padrone e dalla quale riceve...

... inaspettate attenzioni, e agli occhi di chiunque si trovi incastrato tra i fili della vicenda. Equivoco è il linguaggio, che plasma, corrompe e distorce la realtà. Equivoco è anche l’amore, che si smarrisce, per la propria labilità e superficialità, tra le pieghe di una realtà indecifrabile.

In balia dell’amore, i personaggi sono in preda alla follia, fraintendono, si ingannano, si perdono, si contraddicono, inseguono illusioni. Orsino sposa Viola, anche se ha sempre detto di amare Olivia. Sposa Viola dopo averla creduta un uomo. Olivia sposa Sebastiano, gemello di Viola, solo perché lo scambia per Cesario. Sebastiano sposa Olivia senza nemmeno conoscerla. Malvolio, innamorato di Olivia, è portato alla pazzia, vittima degli scherzi perfidi di Maria e Sir Tobia.

Anche se, come la commedia richiede, il finale riporta la pace, sulla sorte dei personaggi continua ad aleggiare l’ombra dell’ambiguità, di un caos che a forza si è ricondotto a quiete.

La contraddittorietà del non-lieto fine della Dodicesima Notte è ben incarnata da Feste, il buffone, il matto che, a dire la verità ( e questo è il paradosso), si rivela il più saggio. Chiuso in un isolamento pseudo-registico che lo eleva quasi sopra la distesa degli eventi, Feste, padrone egli stesso dell’arte del trasformismo, dell’illusione e del fraintendimento, osserva la multiformità e l’incertezza della realtà con la lucidità e la consapevolezza di chi conosce i segreti del mestiere del vivere artificioso e ingannevole. La sua superiorità conoscitiva, tuttavia, sembra non essere sufficiente a esimerlo dal cadere anch’egli vittima di quelle stesse illusioni che tengono prigionieri gli altri personaggi. Feste, che scambia Sebastiano per Cesario, è il simbolo dell’artificio divorato da sé stesso, è il simbolo di un’implosione che, invece di preparare alla costruzione di un nuovo ordine, rinvigorisce, estende e assolutizza l’inganno e la labilità del reale.

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