Un caso deprimente è quello di Duolingo, applicativo che magari avete usato per imparare una lingua straniera o aiutarvi per le traduzioni. Come tante aziende digitali, questa ha circa 700 dipendenti e migliaia di collaboratori a contratto. Ha iniziato l’estate scorsa a lasciare a casa scrittori e traduttori, eliminando il 10% della forza lavoro a fine 2023, e continuando anche ora coi tagli.
Il caso mi deprime perché va contro quello che ho sempre predicato in questa rubrica: l’intelligenza artificiale deve essere adottata per aumentare la produttività e qualità del lavoro della persona, non per sostituirla. Invece questi prenditori hanno pensato male di cacciare dei professionisti sostituendoli con LLM, e chiedendo ai superstiti di limitarsi a correggere gli errori fatti dal robot. Immaginate di essere un traduttore, che per anni ha preso un testo ed ha reso gli stessi concetti, passaggi logici, emozioni in un’altra lingua. Oggi vi chiedono qualcosa di demotivante e difficile: dovete leggere il testo originale, esaminare la traduzione fatta dal LLM, e correggerla.
Non serve molta fantasia per capire che la correzione sia facilmente preda di un altro robot; quindi, anche l’esser sopravvissuti al taglio di personale non dura a lungo. La miopia di quest’azienda ha le gambe corte: è già ben evidente il calo della qualità delle traduzioni, ed i clienti protestano. Nel 2023 Duolingo era cresciuta del 50% a 83 milioni di clienti, chiudendo l’anno con $523 milioni di ricavi e triplicando il suo valore in borsa. Adesso vediamo se le lamentele si traducono in un calo del fatturato.
In ogni caso, il vero colpevole dei tagli di organico in America non è l’intelligenza artificiale usata per sostituire personale, quanto il lavoro da remoto che si rivela un boomerang per chi vive in paesi benestanti. Se prima del Covid le multinazionali digitali avevano centinaia di softwaristi in ufficio, oggi quegli edifici sono occupati al 20%, col settore immobiliare sta per andare in crisi. Fino a quando resiste il rapporto umano, avere un collega a qualche ora di distanza non è un problema: continui a lavorare con lui quasi come quando eravate assieme. Ma mese dopo mese, la mancanza delle chiacchierate al caffè, la gente che non si fa più vedere in video, la rotazione di colleghi nuovi, annullano quel rapporto diretto.
A quel punto si guarda la differenza di costo tra lo sviluppatore che chiede $100 all’ora a Seattle, quello che ne chiede $15 all’ora in Spagna, e quello che in Pakistan lavora benissimo per $3 al giorno, è bravo e non si fa problemi a esser disponibile nella tua stessa fascia oraria. Questi sono numeri veri, e la differenza tra $800, $120 e $3 al giorno è notevole. Anche per chi ha colto al balzo l’opportunità di fare il nomade digitale, andando a sviluppare software sulle spiagge pugliesi, portoghesi o tailandesi a stipendi moderati, questa corsa al ribasso diventa difficile da gestire.
Le multinazionali guidate dai CEO con la felpa, che hanno già valutazioni di borsa stratosferiche, continuano a massimizzare i loro profitti, con buona pace dello stakeholder capitalism che riempie l’aria rarefatta di Davos. Per chi inizia oggi la carriera nel digitale, è quindi di massima importanza comprendere queste tendenze e puntare ad attività che non possano essere sostituite da robot o colleghi del terzo mondo.