Con i nuovi sensori applicati a calze e scarpe, adesso è possibile registrare con estrema precisione la camminata del paziente, cui viene chiesto di fare lunghe passeggiate mentre risolve problemi mentali, solo per distrarlo dall’analisi del movimento. Pressione dei piedi, ampiezza e frequenza della falcata, equilibrio sicuro o meno, vengono tutti analizzati dall’intelligenza artificiale, che facilita ed anticipa parecchio la diagnosi del Parkinson. A questo punto si può impiantare un chip nel cervello del paziente, conosciuto come brain computer interface, e da lì coordinare il rilascio di stimoli neuronali che nel 75% dei casi riduce, in alcuni elimina completamente, i sintomi. Oggi possiamo avere un modello digitale del Parkinson di uno specifico paziente.
I sensori, come EEG, MRI, TAC ed altre analisi ex-vivo, quindi esterni al nostro corpo e non invasivi, sono il primo passo nella costruzione del nostro avatar, il nostro gemello digitale. A questi si aggiunge la misura delle variabili in-vivo, dalle facili analisi di sangue e urine, a microrobot con telecamera che gironzolano per il nostro sistema digerente, ai sedicimila terminali elettrici impiantabili nel nostro cervello per misurarne il funzionamento. Qui il quadro si complica, perché i dati vanno trasmessi dal corpo a fuori: mentre un EEG richiede 44kbps (come le nostre prime connessioni ad internet negli anni ’90, col modem che faceva suoni strani), il resto cresce di tanti ordini di grandezza. Un’immagine del nostro cervello è 100MB, che quindi vanno trasmessi a Mbps, mentre il nostro cervello contiene 10 alla nona terabyte di dati, che vanno trasmessi a 10 alla quinta terabyte al secondo. Il consumo energetico è estremo, Greta non approva.
Questi numeri ci dicono che la diagnosi e cura di determinate malattie, come il Parkinson, sono possibili oggi, altri malanni a breve. Se uno invece pensa di impiantarsi un chip in testa per diventare neurochirurgo o esperto di arti marziali, come vediamo nei film di fantascienza, ne abbiamo di strada da fare. L’utilizzo del BCI per fermare un tremore, oppure riprendere la motilità di un arto dopo un trauma del sistema nervoso, è fattibile e giusto. Pensare di usarne uno per suonare il violino da professionista, o anche solo aumentare la propria memoria e performance fisica e mentale, non è fattibile e probabilmente non è nemmeno giusto.
Lo sviluppo verso l’avatar in ogni caso non si ferma: oggi possiamo modellare tutti i dati statici, come l’anatomia completa del nostro corpo, stiamo facendo i primi passi nel gestire quelli dinamici, come il nostro metabolismo e coordinamento psico-motorio, ed iniziamo a capire come prevedere stati mentali, come la fatica. Un bell’articolo sul tema lo trovate qui.
Questi sviluppi hanno l’abitudine di evolversi più rapidamente della nostra capacità previsionale, e l’idea che ognuno di noi abbia il suo schiavetto digitale e magari fisico, da mandare a lavorare al posto nostro, è passata dalla fantascienza alla scienza. Mi spaventa solo il desiderio di immortalità di alcuni, che vogliono lasciare il proprio avatar ai posteri: come faremo con le suocere, che ci accompagneranno nei pranzi di Natale per sempre?