Ogni volta che fate una domanda a ChatGPT, la quantità di chip e corrente necessaria per darvi una risposta è veramente importante, al punto che Google, Microsoft e concorrenti tentennano sul come guadagnare con questo strumento.
Occorre tenere a mente che nonostante la performance entusiasmante di questo robot, ricordando che per alcuni versi ha l’intelligenza emotiva di un ragazzo di nove anni, ChatGPT è ancora molto lontano dall’essere minimamente paragonabile al nostro cervello, peggio che mai alla nostra mente. Questa, infatti, non cerca di apprendere da operazioni matematiche e statistiche basate su migliaia di terabyte di dati, ma crea le spiegazioni. La performance linguista e mentale di un bambino è decisamente migliore del robot più all’avanguardia e qui potete leggere cosa ne pensa Chomsky. Come mai?
Mentre nel cervello elettronico la corrente passa attraverso chip in silicio, nel nostro corrente e composti chimici lavorano in simbiosi per fare operazioni molto più complesse ed efficienti rispetto ai server che alimentano l’intelligenza artificiale. Da qui l’intuizione: e se facessimo dei chip organici, chimico-elettrici? Chiamiamo organoidi degli oggetti tridimensionali coltivati in laboratorio sulla base della chimica organica, e che possiamo usare al posto dei chip di silicio. In questo caso siamo all’intersezione di campi molto diversi tra loro: biologia, cellule staminali, neuroscienze ed ingegneria elettronica.
Nel numero scorso avevo parlato di BrainGate, il BCI che “semplicemente” intercetta i messaggi del cervello e, non potendo farli passare dai nervi della spina dorsale, li manda su un computer che poi si occupa di muovere gli arti del paziente. 17 anni di lavori ancora in corso, ma siamo al buono. Qui invece con la OI (Organoid Intelligence, diversa da Artificial Intelligence) il focus della ricerca è sulle malattie neurodegenerative, e si cerca di sviluppare dei sostituti di neuroni e sinapsi. L’idea di massima è quella di creare delle culture di organoidi che possano sostituire le parti del cervello malate, rendendole in grado di sviluppare memorie, reagire agli stimoli e parlare con il resto del cervello.
In questo sviluppo è fondamentale il ruolo delle cellule staminali, ossia cellule che son prive di specializzazione ma possono crearne altre specializzate in questo o quello. Quattro anni fa i ricercatori della Tuft University di Boston son riusciti a costruire un modello tridimensionale di cervello umano, che ha mostrato capacità neuronali e sinaptiche per nove mesi, non proprio un Frankenstein Junior, ma andiamo in quella direzione.
Eccoci, quindi, nella nuova era del bio-computing, dove al silicio andiamo a sostituire chip prodotti ad immagine e somiglianza delle cellule del nostro cervello. Fin da subito le performance sono stupefacenti: questo cervello sintetico ha imparato a giocare un paio di videogiochi molto piu’ rapidamente dei fratelli in silicio e, specialmente, con un consumo energetico molto inferiore. Spero che tra i lettori, magari appassionati di biologia o chimica, qualcuno voglia approfondire, qui.
Vi assicuro, è uno spasso.