IL Digitale


Il lavoro da remoto, croce e delizia

Elon Musk, che insieme a pochi altri realisti prevede una crisi economica a livello tsunami con meteorite, ha pensato bene di ordinare ai suoi quasi 100.000 dipendenti di tornare a lavorare in ufficio almeno 40 ore alla settimana, e che vuole approvare personalmente qualsiasi eccezione.

Sorprendente quest’ordine venga da lui, visto che grazie alla sua Starlink ci si connette ai luoghi più dispersi, addirittura in teatri di guerra come accade in Ucraina dove milioni di lavoratori usano i suoi satelliti giornalmente.

Negli ultimi due anni le tecnologie digitali hanno retto bene il passaggio al lavoro da casa, mentre le aziende stanno ancora calibrando quanto oppressivo debba essere il loro controllo sul personale che non riescono a vedere fisicamente in ufficio. In America abbiamo una deriva orwelliana, con molte imprese che usano software per monitorare l’attività a computer, il fatto che il dipendente sia di fronte allo schermo lavorativo e non Netflix, e l’imposizione di reportistica minuziosa. Molti finiscono con lo spendere più tempo a rendicontare quanto fatto che effettivamente fare quel che devono, l’apoteosi del “Bullshit jobs” di cui ci disse con largo anticipo il compianto David Graeber.

In questa rubrica ho spiegato spesso che l’automazione non può rimpiazzare il lavoro della persona, e per chi volesse riprendere il tema raccomando questo articolo recente (qui) perché la stragran maggioranza delle attività non possono esser fatte da una macchina, e la possibilità che questa possa sostituire una persona resta minima. Il lavoro da remoto non ha portato nessuna perdita di produttività, ed il 60% delle persone preferisce non dover tornare in uffici pollaio, specie se questo significa perdere un paio d’ore in inutili viaggi. Da dove viene quindi il richiamo del famoso imprenditore? Semplice mania di controllo ossessivo-compulsiva, o c’è di più?

A mio parere l’unico motivo che parzialmente giustifica Musk nel chiedere un rientro in ufficio è di carattere psicologico. Stare da soli tutto il giorno di fronte ad uno schermo ci rende più sedentari ed isolati, con forte crescita dei disturbi di burn-out e metabolici. Specialmente nella fascia più giovane, la percentuale di lavoratori che si licenzia pur senza avere ancora un’alternativa professionale resta impressionante, pure ora che ci avviamo verso una crisi economica importante.

Il problema non è il luogo da cui si lavora, ma come viene eseguito. Se si finisce per spendere dodici ore da soli di fronte a due tre schermi, che abbiamo installato per seguire contemporaneamente messaggistica, conferenza e contenuto su cui lavoriamo, lavoriamo male. Se stando a casa non possiamo socializzare con nessuno, lavoriamo male. Se ci facciamo tirare da un impegno dietro l’altro senza pause per camminare, correre o fare attività fisica, lavoriamo male. Se per non perdere il filo del lavoro finiamo per mangiare di fronte agli schermi, ci roviniamo la salute.

Non è necessario tornare in ufficio otto ore al giorno, nemmeno cinque giorni la settimana come vuole Musk. Ma se tornando per qualche incontro riusciamo a riprendere e sviluppare i rapporti coi colleghi, a vedere la luce del sole e non solo quella dello schermo, a pranzare e fare una camminata distensiva, lavoriamo meglio ed evitiamo il burn out.


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In questo numero hanno scritto:

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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