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Frankenstein per davvero

Duecento anni fa la giovanissima scrittrice Mary Shelley ci regalava la prima vera storia di fantascienza, Frankenstein, successivamente ripresa in film horror e comici come Frankenstein Junior. Conosciamo tutti questo mostro umanoide alto un paio di metri e pieno di cicatrici, reso vivo da scariche elettriche e formule chimiche impossibili. Sono quindi due secoli che lettori e spettatori si chiedono se e quando sarà possibile creare un essere cui dare la vita attraverso fili attaccati alla testa e relative scariche elettriche. Il titolo completo della novella di Shelley in effetti è...

... Frankestein. Il Prometeo moderno, dove il sottotitolo riprende il nomignolo che aveva Benjamin Franklin in quei tempi grazie al suo lavoro di ricercatore ed inventore nel campo dell’elettricità. Come il Prometeo della mitologia greca è il titano che crea essere umani a somiglianza degli dei, così Benjamin Franklin nelle visite inglesi del 1750-1775 diede la visione di un futuro dove l’elettricità  avrebbe potuto dare la vita.

Dopo due secoli di fantasie, oggi Frankenstein esiste per davvero e risponde al nome di Elon. Come vedete nella rubrica Musica in Parole di Valeria De Bernardi, il vulcanico Musk sta lavorando bene e velocemente ad un integrazione corpo – macchina, e specificamente cervello – intelligenza artificiale, che ha notevoli possibilità pratiche. Con la sua Neuralink, Musk sta mettendo a punto una tecnologia per impiantare processori e sensori nel cervello, e da li guarire una serie di patologie e migliorare performance umane.

Come ogni sviluppo biomedicale che si rispetti, Neuralink ha cominciato ad impiantare questi dispositivi IoT (internet delle cose) in scimmie e maiali, due degli animali piu’ simili all’uomo per intelligenza e metabolismo. Simpatica la maialina Gertrude, che ci mostra come sia possibile misurare cosa le passa per la testa (si veda qui), un qualcosa che in futuro ci aiuterà a capire cosa capita nella nostra zucca.

L’interfaccia cervello macchina si basa sulla dimensione ridotta e biocompatibilità del chip che si installa in testa, e sulla capacità di raccogliere quanti più segnali possibili, siano essi elettrici o chimici. Fatto ciò, occorre trasferirli in un computer più grande perché possano essere analizzati e tradotti in istruzioni che poi il chip impartirà al nostro sistema nervoso ed endocrino. Tutto questo nell’ordine dei centesimi di secondo.

Da anni usiamo l’elettroencefalogramma per raccogliere alcuni segnali dal cervello e capire una serie di fenomeni, da patologie del sonno, convulsioni ed epilessia alle semplici istruzioni che diamo ai nostri muscoli per muoverci. Con Neuralink Musk non fa altro che aumentare di mille volte il numero dei sensori e quindi dei segnali che in tempo reale possono analizzare cosa succede. Questo progresso ci consente di migliorare gli algoritmi di intelligenza artificiale, perché possiamo imitare meglio il funzionamento del nostro cervello e fare in modo che il robot guadagni in intelligenza.

E’ analizzando il funzionamento di una mano, ed il corrispettivo insieme di segnali raccolti dai sensori, che è stato possibile sviluppare gli Spiking Neural Network (qui) che per la prima volta insegnano al robot a mappare dove e quando vengono prodotti i dati del movimento della mano. La mano, per voi lettori così scontata, per un robot è complicatissima: tantissimi muscoli che si muovono all’unisono, tendini, terminazioni nervose che possono prendere una tazza o suonare un pianoforte. In questo primo lavoro sono stati mappati 29 segnali motori diversi, ed in 100 millisecondi s’è riuscito a far frullare la testa del robot per capire cosa succede.

C’è ancora strada da fare, ma lo sviluppo di un chip che mi consenta di suonare Beethoven al pianoforte è poco distante. Siete pronti ad impiantarvi un chip in testa?  Per l’uso ricreativo occorre ancora del tempo, ma per chi soffra di malattie invalidanti ed ha quindi necessita’ di queste innovazioni tecnologiche, il traguardo è vicino. 

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