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Politica dell’identità o identità della politica?

In tempi non sospetti da queste pagine avevo avvertito che il fenomeno cresciuto dalla correttezza politica, sviluppato in woke e poi cancel culture, che i Dem han lanciato per combattere Repubblicani e specialmente Trump, avrebbe volato come il boomerang che Wilie Coyote comprava da ACME. E la scorsa settimana il boomerang ha picchiato forte, con la vittoria del candidato repubblicano nelle elezioni della Virginia. Biden aveva garantito... 

... in prima persona che non sarebbe mai successo: patam sulla testa, ha perso malamente.

Questa cosa è veramente curiosa, perché sulla carta i Dem hanno le idee giuste: migliorare le infrastrutture, diminuire il costo della sanità e dell’educazione, rimportare l’industria in America in modo che sia in grado di produrre in modo autonomo e possibilmente sostenibile. Glenn Youngkin, il vincitore repubblicano di queste ultime elezioni, non avrebbe mai potuto contestare queste idee e quindi ha battuto sul tasto trito e ritrito di cancel culture ed identity politics (politica dell’identità) che comincia a stancare gli elettori.

Finche’ la Critical Race Theory restava nelle aule universitarie di giurisprudenza nessun problema, ma quando i Dem hanno pensato di spingerla nelle scuole per insegnare a bimbi e ragazzi bianchi che son tutti razzisti privilegiati anche se non lo sanno, i genitori han perso la calma. Quando cinquecento professori han perso il lavoro all’Università perché cancellati dai colleghi dell’ufficio “Diversità” pochi hanno storto il naso. Ma quando al lavoro la gente non viene promossa, o peggio licenziata, per far posto ad una qualche quota arcobaleno, i lavoratori perdono la calma. Se un anno fa metter il cartello BLM in giardino faceva tanto inclusivo senza impegno, ora che la gente patisce le conseguenze di queste politiche, gli elettori ripensano a chi stanno mettendo al potere. Quando si proclama ai quattro venti di licenziare e togliere soldi dalla polizia, e non si capisce che il 73% di tutti gli americani (repubblicani, democratici ed indipendenti) rifiuta categoricamente quest’ipotesi, il fatto di insultarli e dir che son razzisti non aiuta.

Veramente curioso che, di fronte al 87% di tutti gli americani che vogliono pagare il congedo di maternità, al 75% che concorda con le sovvenzioni per l’infanzia, e percentuali tra 55 e 60% che supportano educazione e sanità pubbliche (tutte proposte della sinistra Dem), ovvero di fronte ad un generale favore per le politiche più importanti dell’amministrazione Biden, i Dem tirino boomerang esattamente come Wilie Coyote, prendendo una mazzata dopo l’altra. Youngkin per vincere non ha fatto fatica: ha evitato di farsi vedere insieme a Trump, che è sempre due spanne sopra le righe, e convinto gli elettori che questa politica dell’identità, e l’abitudine di cancellare chi la pensa diversamente, sono fascismo allo stato puro, versione Stalin.

Per chi pensava che Tafazzi fosse un personaggio tipico italiano, che la tendenza ad autoflagellarsi nel modo più idiota fosse riservato al coyote che insegue Bip Bip, i fatti dimostrano che è ora di ricredersi. Biden ha ottenuto di passare prima i mille miliardi per le infrastrutture, con il supporto repubblicano, per poi riprovare con i mille novecento per maternità, infanzia, educazione e sanità. E’ appeso ad un filo, vedremo. Chissà se in Italia si comprende il problema di cancel culture e politica dell’identità: Wilie Coyote è un simpatico insegnante.


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In questo numero hanno scritto:

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro