IL Cameo


Addio al mito Ferlinghetti, un vero libraio

Uno dopo l’altro se ne sono andati i miti della mia giovinezza “ribelle”: è morto a 102 anni Lawrence Ferlinghetti. Ogni volta che sono stato a San Francisco (tante) sono andato alla sua iconica libreria, con dipinta sul vetro, in un giallino uovo, la scritta “City Lights Bookstore”, ispirato, immagino, al film muto di Charlie Chaplin, Luci della Città.

Era il tipo di rivoluzionario “à la carte”, che piaceva a me. Scoprì i grandi della Beat Generation, il quartetto Ginsberg-Kerouac-Corso-Burroughs, ma rimase sempre defilato.

Aveva una visione un po’ diversa del mondo, ma per amicizia e stima profonda, si fece cantore e promotore indefesso della Beat Generation. Tutti frequentavano la sua libreria, portando uno stile di vita dissoluto, in realtà disperato, dove la poesia era annegata in fiumi di alcol, droghe, fumosità varie. Lui se ne stava in disparte, vestito come un borghese e, udite, udite, con i capelli corti e puliti. Diceva: “Dovevo essere a posto, e sempre in me, per mandare avanti tutto e aprire ogni mattina la libreria”.

“Aprire ogni mattina la libreria” significava essere vivo e attivo. C’è il tempo della vita e quello della fuffa, guai mischiarli. Era uomo di execution, umano, divenne un pacifista assoluto, dopo aver conosciuto, durante il servizio militare in Marina, le rovine di Nagasaki: vi giunse appena un mese dopo dallo scoppio della bomba atomica. Scrisse: “Vidi l’inferno in terra che mi rese all’istante pacifista per tutta la vita”. Nagasaki, più di Hiroshima, fu anche per me una visita sconvolgente, ed erano passati quarant’anni!

Ferlinghetti lo ricordo per aver raccontato alla Summer of Love del 1967, nell’apoteosi del delirio hippy dei figli dei fiori, una considerazione che gli fece Ginsberg: “Lavrence, e se ci stessimo sbagliando tutti?” L’avevano intuito, loro stessi, in tempi non sospetti.

Chissà se negli ultimi anni Ferlinghetti si sarà posto la domanda che da una decina d’anni mi fa una compagnia discreta nei miei pensieri notturni: i giovani di oggi cosa aspettano a ribellarsi al CEO capitalism” ? C’è molto più bisogno di un Sessantotto oggi che allora. Non mi capacito perché accettino di essere dei ridicoli “consumatori seriali”, guidati da algoritmi kapò. Ragà che vita è la vostra? Addirittura, ci sono vecchi magistrati in Francia, in Svizzera, in UK, in California, a Milano, che cercano di proteggervi dai nuovi negrieri uberizzati, che vi fanno credere di essere imprenditori di voi stessi, e intanto vi schiavizzano.

Alzate lo sguardo verso l’alto, il vostro futuro è lì, non nell’idiota smartphone e le sue ridicole app. Costui vi sta rubando il tempo della giovinezza, della vita. Voi campate, come i pigri idioti a cui portate la pizza, ma non sapete cos’è vivere. La pizza mangiatela in pizzeria, e andate a passeggiare, sempre a testa alta, se possibile riflettendo. Solo così, guardando sempre all’insù, la vita merita di essere vissuta. Prosit!

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Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro