Vita d'artista


Jan Veermer

Qualche giorno fa ho sono andata a vedere al cinema il documentario sulla mostra più iconica di tutti i tempi, l’antologica quasi del tutto completa di Jan Vermeer ( 1632-1675), il pittore di Delft, appena conclusasi al Rijksmuseum di Amsterdam. 

Sono andata, ammetto, un po’ per senso di colpa nei confronti di un artista che io amo enormemente e che avrei voluto vedere dal vivo nella sua completezza, ma anche per capire come sono articolati i documentari della Nexo Digital, che ha inaugurato un filone nuovo dal titolo “La grande arte” al cinema. Ebbene, è stata un’esperienza strana. Vedere quei piccoli (nel senso delle misure) capolavori proiettati sul grande schermo da un lato mi ha sorpreso, dall’altro mi ha fatto riflettere… era come vedere una TAC, precisa ma astratta.

Le riprese erano molto professionali e i quadri assolutamente ben fotografati, ma niente può essere paragonato al vedere la pittura dal vero: le infinite variazioni e tonalità che l’occhio percepisce, la macchina fotografica non le registra, ma anche il rapporto con il formato dell’opera è importante. Se un quadro ha misure discrete o enormi fa la differenza, e spararli tutti in grande, come ad esempio nelle “esperienze immersive”, quelle che vanno tanto di moda oggi, è violento. È come passare dalla filosofia all’entertainment in un battito di ciglio, o dalla poesia alla farsa. Il documentario era invece più serio e forse anche un po’ noioso, perché i tempi di visita di una mostra sono molto personali, invece un film impone i suoi.

Però certo, sul grande schermo si può analizzare da vicino i particolari e ciò che colpisce è che Vermeer decide di non mostrare le sue pennellate. La sua pittura di genere, che propone prevalentemente luoghi domestici e al chiuso, ha sempre una luce radente che arriva da una finestra, una luce che nei contrasti diventa colore acceso, inebriante. Le atmosfere, in cui sono protagoniste soprattutto le figure femminili, sono sospese, e lo spettatore attraverso una sapiente composizione, pare quasi assumere un ruolo voyeuristico: è come se spiassimo una scena dallo spioncino, in cui vi è un’azione in cui noi non interagiamo, colta in un momento preciso, come la lettura di una lettera, o durante una lezione di musica, in cui le protagoniste sono assorte. Questa poetica del quotidiano, così silenziosa e intima, mantiene intatto tutto il suo fascino, perché nel cogliere un semplice momento della vita, di fatto riesce nella grande impresa di catturare il Tempo, arrivando fino a noi. Davanti alla sua opera più famosa, “La ragazza dall’orecchino di perla”, tra i pochi quadri in cui la figura è in primo piano, ci si sente coinvolti con tutti i sensi, sembra che quelle labbra socchiuse vogliono ancora dirci qualcosa.

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