Vita d'artista


Dello spirituale nell'arte

Wassily Kandinsky nel 1909 scrive, nel suo famoso saggio sull’arte, che quello che conta in un’opera d’arte è ciò che non si vede. Cosa vuol dire?

Kandinsky identifica tre tipi di pubblico: colui che nell’opera d’arte potrebbe cercare una “mera imitazione della pittura a scopo pratico”, vedi ad esempio i ritratti, oppure “un’interpretazione” ovvero una pittura impressionistica, oppure, terzo tipo, colui che cerca “degli stati d’animo rivestiti di forme naturali” vale a dire un’atmosfera, una Stimmung.

Tutte queste modalità sono veramente arte e raggiungono il loro scopo solo se diventano nutrimento spirituale, cioè quando lo spettatore si immedesima con l’opera. L’immedesimazione certo non deve essere superficiale anzi, l’atmosfera dell’opera deve rendere coinvolgente e visionaria l’atmosfera in cui è immerso lo spettatore. Il fine ultimo dell’arte deve infatti impedire all’anima di involgarirsi, tenendo viva la tensione “ come la chiave dell’accordatore tiene tese le corde dello strumento”.

Ma se l’importante nell’opera è ciò che manca, vuol dire che ciascun spettatore a suo modo è chiamato a chiudere il cerchio della visione (come quando si immagina il volto di un personaggio amato in un libro) aggiungendo all’opera una parte di sé, della sua esperienza. E’ come se, per aumentare questa sensazione, nell’opera fosse necessaria una sorta di negazione della forma al suo interno. Per l’artista è un eterno dilemma il dibattersi tra la figura, cioè il dire, e l’astrazione, il non-detto. La sfida infatti è quella di creare uno spazio tra sé e l’altro, uno spazio vuoto da colmare, quella che appunto Kandinsky chiama Stimmung. Solo in questo modo l’arte raggiunge il suo scopo, l’universale.

Pensiamo al sorriso della Gioconda di Leonardo, quel sorriso magnetico, che a distanza di secoli continua ad ammaliare. Qual è il suo segreto? La Gioconda è lì per noi ma non si dà e il suo mistero è parte del suo fascino: è appunto quella componente di negazione cioè di ritrosia allo sguardo dell’altro, che incanta. E’ il mondo che non c’è ma che viene annunciato, come in una sorta di profezia. E’ la stessa forza profetica che pervade anche “Lo spirituale nell’arte”.

“L’arte che non ha avvenire, che è solo figlia del suo tempo ma non diverrà mai madre del futuro, è un arte sterile. Ha vita breve e muore moralmente nell’attimo in cui cambia l’atmosfera che l’ha prodotta”.


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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Emanuel Gazzoni (Roma): preparatore di risotti, amico di Socrate e Dostoevskij, affascinato dalle storie di sport
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite