Questo passo dell’Antico Testamento ha molto eccitato la fantasia degli artisti ed è un soggetto ricorrente in molte opere d’arte del passato, da Paolo Veronese al Tiepolo, da Orazio Gentileschi a Nicolas Poussin.
Viene descritta come una scena idilliaca, ma la storia insegna che l’abbandono di Mosè deriva dall’angoscia e dall’afflizione per la persecuzione verso il popolo ebraico durante la sua schiavitù in Egitto. Il Faraone infatti accoglie il consiglio di Balaam e si convince che il modo più sicuro di sterminare gli ebrei senza nulla rischiare, sia quello di uccidere tutti i neonati maschi. Viene dunque emanato un editto e ordinato alle donne ebree di partorire solo con l’aiuto delle levatrici egizie affinchè non rimanga in vita nessun neonato. E così che Yocheved non potendo più nascondere suo figlio, prepara con cura la piccola arca senza sapere se mai lo rivedrà . Che motivo avrebbe una donna di abbandonare il proprio figlio se non per la disperazione e per la speranza di dargli una vita migliore?
Sappiamo che Mosè fu raccolto dalla figlia del Faraone, Themurtis, che era sulle rive del Nilo a cercare sollievo dalla calura e benchè il neonato fosse di straordinaria bellezza, solo quando si mise a piangere, si impietosì e decise di tenerlo con sé. Chiese di una balia ebrea perchè il piccolo rifiutava le cure delle altre e quando Miriam, sorella del piccolo, con prontezza propose Yocheved, la figlia del Faraone le disse va bene, di portarlo con sé e le diede un salario. Ed è così che il bambino ebbe per nutrice sua madre e per due anni rimase con i genitori finchè come convenuto, venne portato a palazzo e chiamato Mosè perché “fu tratto dalle acque”.
Mi torna in mente la famosa opera di Barbara Kruger, l’artista icona dei diritti delle donne, "Your body is a battleground", del 1989, un’opera-manifesto in cui si vede un volto femminile (tratto da un immagine pubblicitaria degli anni ’50) diviso in due e polarizzato, con al centro il breve slogan del titolo: manifesto con cui tappezzò le strade di New York la sera prima di una manifestazione femminista a favore dell’aborto. Quella frase però ci dice tanto di più e sembra che ci parli ancora oggi, alla luce di nuove tematiche come quella degli “uteri in affitto”. Dopo secoli di storia si è pronti ancora discutere e a trattare il corpo femminile senza rispetto in quelle che sembrano, a dispetto del progresso e della tecnica, nuove forme di schiavitù.