IL Digitale


Oltre ChatGPT

Nelle ultime settimane la buriana attorno a ChatGPT ha portato scene di isterismo: da chi vuole fermare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, a chi si preoccupa inutilmente della privacy, a chi si scandalizza perché potrebbe influenzare l’opinione pubblica. 

La stessa opinione pubblica che quotidianamente è inondata di falsità e mezze verità, ora dovrebbe preoccuparsi di essere manipolata da un robot? Ma ci faccia il piacere, direbbe Totò.

A scanso di equivoci, questo large language model (tipologia di intelligenza artificiale focalizzata sulla scrittura di testi) è fatto per scrivere bene, in modo corretto e scorrevole come ci insegnavano a scuola, utilizzando le tecniche retoriche che tutti conosciamo. Non è fatto per darci risposte esatte a problemi e dubbi amletici, men che mai per diagnosticare pazienti o guidarci in decisioni rischiose. Scrivere bene è un conto, dire le cose come stanno è un altro, che a ChatGPT non interessa fare.

Quando gli facciamo una domanda, questo robot capisce il contesto ed indovina dove vogliamo andare a parare, rispondendo di conseguenza. Può produrre testi lunghi, vere e proprie tesi volendo, e solo occasionalmente perde il filo logico del discorso. Si è allenato sui testi disponibili in internet, e questo significa che si destreggia in oltre 50 lingue, dall’inglese, spagnolo e cinese fino ad idiomi più rari, come le lingue scandinave e lo Zulu.

Qui viene il bello: se gli parlate prima in una lingua, poi in un'altra ed altra ancora, vedrete che non ha memoria di quanto vi ha risposto. A differenza vostra, che avete ben presente tutta la conversazione da capo a piedi, ChatGPT dopo un po’ sembra dimenticarsi di cosa avete già detto. E questo perché in effetti non memorizza la conversazione specifica, semplicemente crea la più logica sequenza a quanto ha appena detto e sentito.

Capito che ChatGPT fa bene una cosa, ed una soltanto, ossia scrivere bene, occorre impratichirsi nell’uso e guardare quali altri strumenti sono disponibili e divertenti da imparare. Ho già parlato di Dall-E per creare immagini partendo da testi, poi Jasper AI per scrivere di tutti, Synthesia per farvi un Avatar che vi parla, Do Not Pay come assistente legale, Jenni AI per scrivere temi e tesi meglio di ChatGPT, Tome per modellare in 3D o fare presentazioni notevoli, e Murf per passare dal testo alla voce.

Questa lista è minima e solo un esempio dei tanti strumenti che, sfruttando varie forme di intelligenza artificiale, possono aiutarci in questo o quel compito. L’invito che rivolgo a giovani e meno giovani, praticamente a chiunque non abbia raggiunto la sicurezza di una vincita alla lotteria o una pensione garantita, è di impratichirsi ed imparare questi strumenti. Il motivo, come spiegato in numeri precedenti, è che finche’ sono controllati da pochi CEO con la felpa e qualche multinazionale, rischiano di appiattire il valore delle nostre competenze, rendendo tutto facile mentre la crescita dei salari si ferma.

Sarebbe bello credere alla previsione di John Maynard Keynes, che nel 1930 ci illuse in un futuro pieno di macchine dove avremmo lavorato solo 15 ore la settimana. Sappiamo che non è così: finche’ ci sono elites che vogliono usare lo sviluppo tecnologico ad esclusivo proprio favore, ci tocca lavorare. Allora meglio farlo conoscendo bene la tecnologia pe destreggiarsi al meglio, non mettendo la testa nella sabbia aspettando che passi la buriana. Per una visione più radicale, leggete qui. 


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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite