Vita d'artista


La zattera della Medusa

«Monsieur, vous venez de faire un naufrage qui n'en est pas un pour vous» ebbe così occasione di commentare Luigi XVIII davanti a “La zattera di Medusa” e al suo giovane autore, il 29enne Théodore Géricault. Era il Salon di Parigi del 1819, dove il grande quadro (cm 491x716 ora presente al Louvre) venne mostrato per la prima volta al pubblico. I critici si divisero tra commenti positivi e feroci condanne: chi era affascinato dalla disperazione e dall’orrore espresso nell’opera, chi era...

... scandalizzato da tale presa di distanza nei confronti del Neoclassicismo, al quale si opponeva il crudo realismo di Gèricault. E’ pur vero che il tema del naufragio e degli incidenti marini (l’opera inizialmente si chiamava “Scena da un naufragio”) era diventato un vero e proprio filone artistico, che metteva insieme la storia contemporanea a una poetica del paesaggio. 

E infatti Gèricault si ispirava ad un fatto realmente accaduto: il naufragio della fregata “Meduse”, avvenuto il 2 luglio del 1816, a causa delle decisioni affrettate e della cattiva conoscenza di quelle acque da parte del suo capitano, Hugues Duroy de Chaumareys. Oltre 250 persone si salvarono a bordo delle scialuppe, le restanti 150 dovettero essere imbarcate su una zattera di fortuna, lunga 20 mt e larga 7, e solo in 15 fecero ritorno. «La zattera condusse i sopravvissuti alle frontiere dell'esperienza umana. Impazziti, assetati e affamati, scannarono gli ammutinati, mangiarono i loro compagni morti e uccisero i più deboli.» scrive Jonathan Miles. Lo scandalo scoppiò nel settembre successivo, quando il chirurgo Henry Savigny, sopravvissuto della zattera, raccontò il clima di violenza e sopraffazione tra i sopravvissuti: gli avversari del governo sottolinearono la discriminazione patita dai non privilegiati e la nomina di quel comandante la cui negligenza fu considerata la causa principale del naufragio. La tragedia aveva avuto una risonanza internazionale.

Géricault fu affascinato da quell’avvenimento tragico e volle incontrare il medico sopravvissuto che gli descrisse la sua esperienza e che ispirò l’intenso dramma del dipinto; lavorò insieme al falegname della Medusa, Lavilette, per costruire un modello in scala della zattera; compì numerosi viaggi a Le Havre per assistere a tempeste e studiare il movimento delle onde del mare. Infine, visitò l’obitorio dell’ospedale di Beaujon di Parigi per studiare il tono muscolare dei cadaveri, e prendere consapevolezza del processo di decomposizione dei morti. La scelta del momento da immortalare sulla tela fu causa di molti ripensamenti: fu indeciso tra l’ammutinamento agli ufficiali, le scene di cannibalismo o il salvataggio finale ma scelse poi quello, in cui i sopravvissuti vedono all’orizzonte la nave. La didascalia sulla cornice recita: «L'unico eroe in questa toccante storia è l'umanità».

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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