... debbano rassegnarsi a un mondo totalmente scristianizzato e costituire comunità, nuovi monasteri benedettini, che salvaguardino la loro tradizione, aspettando che il mondo corrotto crolli come crollò l’Impero romano. Candiard, invece, sostiene che i cristiani si debbano immergere totalmente nel mondo di oggi così com’è, cioè scristianizzato, e lasciarsi alle spalle il ricorso alla tradizione. Matzuzzi notava giustamente che i due autori condividono l’analisi, pur differendo diametralmente nella soluzione.
Ma al di là dei due, è un po’ una mania quella di cercare schemi unificanti assoluti. Anche Rémi Brague, in una recente intervista, legge i fenomeni di razionalismo scientista ed edonismo emotivo attuali come parte di un sempiterno “nichilismo” (ma perché chiamare con questo nome fenomeni tanto distanti?). Spesso poi si leggono resoconti unificanti, un po’ a metà tra filosofia e sociologia, che finiscono inevitabilmente con il ricadere nelle categorie di “conservatore” o “progressista” (o “né l’uno né l’altro” che le conferma) con cui purtroppo adesso si tendono a misurare anche la Chiesa Cattolica e le altre Chiese cristiane.
Il paradosso è che questi tentativi di lettura unificanti perdono spesso di vista la particolarità, la varietà, la casualità e la libertà come fattori della storia sposando invece dei modelli di matrice hegeliana e marxiana in cui gli eventi storici seguono linee “necessarie”, che inevitabilmente capitano al di là della libertà dei singoli. Letture paradossali perché è proprio il cristianesimo che dall’inizio insiste sul valore unico di ogni singola persona in quanto libera. Chi veramente si occupa dei periodi storici o chi è effettivamente addentro a forme di vita sociali sa che molto spesso sono gli incontri casuali, l’improvvisa condivisione di un ideale tra due persone, le affinità elettive di un gruppo o il coraggio inusitato di un singolo a decidere anche di grandi cambiamenti storici. In un recente musical intitolato “Jeanette” (lo trovate su Raiplay) e ispirato all’opera di Charles Péguy, si vede una giovane Giovanna d’Arco piena di dubbi sulla fede e sulla sua efficacia nella storia. Poi, a un certo punto, si decide a partire per la sua missione, perché sente casualmente la notizia dell’assedio di Orléans da una pastora sua amica e può sfruttare la devozione di uno zio che, adorandola, non mette in discussione le “voci” che ella sente dentro di sé. Il caso, l’amore dello zio, gli incontri e la guerra sono l’occasione per lo sprigionarsi di una convinzione e di atti di libertà così audaci da cambiare la storia. Non so quante analisi sul cristianesimo e la società dell’epoca (ce ne sono sempre state e sono sempre state un po’ apocalittiche) lo avessero previsto. Ma del resto, per una religione che nasce con il detto che la fede può spostare le montagne sarebbe poi grave finire dicendo che sono i tipi di montagne che uno si trova intorno a decidere della fede.