... molto bene fino alla metà degli anni ’90, quando la YBA, la Young British Art, ebbe il suo momento di massimo splendore. Di essa Damien Hirst e Tracey Emin sono forse gli unici sopravvissuti. Hirst vinse il premio nel 1995 con un’opera dal titolo “Mother and Child divided” una mucca e un vitello tagliati a metà e presentati in vasche piene di formaldeide. Tracey Emin non vinse, ma ora, come faceva notare l’articolo, è diventata membro della Royal Academy, quindi a tutti gli effetti è nel cuore dell’establishment britannico.
Negli anni il premio è stato una sorta di cartina di tornasole sullo Stato dell’Arte contemporanea, un sismografo del concetto di avanguardia, se mai ne esistesse ancora una (l’avanguardia è sempre più un esercizio accademico, per la verità). Progressivamente il concorso si è aperto a tutti gli aspetti delle nuove tendenze dell’arte oggi, arrivando quasi a rifiutare ogni modalità che avesse un criterio estetico. Quest’anno, non a caso, sono stati selezionati cinque collettivi, che secondo il parere del direttore del premio, a differenza degli artisti singoli, sarebbero stati gli unici ad avere continuato a lavorare in pandemia. In ogni caso uno dei gruppi selezionati ha dichiarato di sentirsi a disagio per essere stato nominato, non ne capiva la motivazione. In generale il reale intento di questi gruppi è quello del cambiamento sociale: passano dalla lotta alla legislazione anti-gay ai tavoli sottomarini che durante la bassa marea riappaiono e si trasformano in spazio da pranzo comunitario, dalla riflessione sulla diaspora africana in chiave queer all’attivismo che sfida le norme dominanti del mondo della musica, fino a mettere in pratica nell’arte le teorie della “neurodiversità”, secondo le quali non esistono veri e propri deficit mentali.
Il premio vale 25.000 sterline, una bella somma. Come osservava l'autore dell’articolo, i poteri forti nel mondo dell’arte contemporanea oggi non sono più come nel passato in mano agli individui ma a istituzioni ufficiali, e coloro che selezionano sono individui appartenenti a quelle istituzioni, il cui motto è essere “consapevolmente democratiche”: trionfo ideologico del politically correct. L’arte ufficialmente designata, secondo loro , ha il compito di raggiungere il più ampio pubblico possibile, e deve essere virtuosamente contemporanea. Ma quale grande arte può emergere da questo humus? Nessuna : siamo prossimi alla sua sparizione, direbbe Baudrillard.