Vita d'artista


Il Turner Prize

Mi ha molto colpito in questi giorni la lettura di un articolo riguardante il Turner Prize 2021, in Gran Bretagna. Il Turner Prize, nato negli anni Ottanta, fu istituito con l’obbiettivo di individuare e far conoscere in Inghilterra come all’estero i migliori giovani artisti britannici, con un premio in denaro piuttosto consistente. Questo premio ha funzionato... 

... molto bene fino alla metà degli anni ’90, quando la YBA, la Young British Art, ebbe il suo momento di massimo splendore. Di essa Damien Hirst e Tracey Emin sono forse gli unici sopravvissuti. Hirst vinse il premio nel 1995 con un’opera dal titolo “Mother and Child divided” una mucca e un vitello tagliati a metà e presentati in vasche piene di formaldeide. Tracey Emin non vinse, ma ora, come faceva notare l’articolo, è diventata membro della Royal Academy, quindi a tutti gli effetti è nel cuore dell’establishment britannico.

Negli anni il premio è stato una sorta di cartina di tornasole sullo Stato dell’Arte contemporanea, un sismografo del concetto di avanguardia, se mai ne esistesse ancora una (l’avanguardia è sempre più un esercizio accademico, per la verità). Progressivamente il concorso si è aperto a tutti gli aspetti delle nuove tendenze dell’arte oggi, arrivando quasi a rifiutare ogni modalità che avesse un criterio estetico. Quest’anno, non a caso, sono stati selezionati cinque collettivi, che secondo il parere del direttore del premio, a differenza degli artisti singoli, sarebbero stati gli unici ad avere continuato a lavorare in pandemia. In ogni caso uno dei gruppi selezionati ha dichiarato di sentirsi a disagio per essere stato nominato, non ne capiva la motivazione. In generale il reale intento di questi gruppi è quello del cambiamento sociale: passano dalla lotta alla legislazione anti-gay ai tavoli sottomarini che durante la bassa marea riappaiono e si trasformano in spazio da pranzo comunitario, dalla riflessione sulla diaspora africana in chiave queer all’attivismo che sfida le norme dominanti del mondo della musica, fino a mettere in pratica nell’arte le teorie della “neurodiversità”, secondo le quali non esistono veri e propri deficit mentali.

Il premio vale 25.000 sterline, una bella somma. Come osservava l'autore dell’articolo, i poteri forti nel mondo dell’arte contemporanea oggi non sono più come nel passato in mano agli individui ma a istituzioni ufficiali, e coloro che selezionano sono individui appartenenti a quelle istituzioni, il cui motto è essere “consapevolmente democratiche”: trionfo ideologico del politically correct. L’arte ufficialmente designata, secondo loro , ha il compito di raggiungere il più ampio pubblico possibile, e deve essere virtuosamente contemporanea. Ma quale grande arte può emergere da questo humus? Nessuna : siamo prossimi alla sua sparizione, direbbe Baudrillard. 


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite