... scetticismo riguardo ai maneggi del mercato dell’arte, e forse potremmo fare le dovute considerazioni anche in questo caso (chi ha acquistato l’opera è anche il proprietario del sito che la propone) ma credo, prima, vada di meglio spiegata, perché sicuramente qualcosa di nuovo è successo.
Negli ultimi trent’anni molti artisti si sono approcciati al digitale utilizzandolo come base per le loro opere fisiche, per intenderci come una sorta di bozzetto, creando delle composizioni anche complesse a partire dalla scultura in 3D e poi riportandole sulla tela, ad esempio. Alcune volte invece, hanno lavorato direttamente su opere per così dire, native digitali, che vivono solo in digitale, come quelle degli autori dei videogiochi. Tutto quello che vive nel web è per sua intrinseca natura "patrimonio di tutti", il flusso delle immagini che vi troviamo può essere fruito e utilizzato da chiunque, non vi è, di fatto, nessuna proprietà né diritto d’autore. Ciò che cambia oggi grazie agli NFT è che questo enorme flusso di libere immagini si può "fermare" e che volendo, possano diventare esse stesse un oggetto unico e specifico, come potrebbe essere un’opera che si vede e si acquista in una galleria d’arte. Sia le rappresentazioni digitali di oggetti fisici, come i quadri o le foto, sia le native digitali, potranno essere acquistate attraverso NFT e blockchain che ne certificano l’autenticità, la titolarità e i passaggi di proprietà.
Ora, il nostro Beeple Crap ha venduto in un’unica composizione, il cui titolo esemplificativo è “Everydays: the first 5000 days” , cinquemila opere, una sorta di mega collage compresso in cui non si intravede nulla ma da cui, avendone la proprietà, si possono estrapolare le differenti immagini . Non so perché osservandolo mi è venuto subito in mente il libro di Jean Baudrillard dal titolo La sparizione dell’arte (1988), che definisce il nostro "un mondo in cui si sta compiendo un’immensa impresa di stoccaggio estetico", la cui grande minaccia è "il grado Xerox della cultura". Più in là Baudrillard scrive che “l’immaginazione è morta per overdose di immagini”: che, in altre parole, significa che un tale smisurato aumento delle immagini ci fa rimanere immobili e come se fossimo stati paralizzati dal curaro. Come dargli torto?