Pochi giorni fa ho firmato un contratto con l’editore Laterza che porterà il mio nuovo libro in preparazione sull’alleato digitale nelle librerie in autunno. Giunti a questo punto, la mia ambizione è che, se vorrete, di questo alleato vi possiate interessare nuovamente immergendovi nella completezza di un saggio.
Ho fortemente voluto questo esito divulgativo in tempi rapidi, perché sono convinto che vadano prese urgentemente una serie di decisioni politiche di indirizzo a diverse scale (nel nostro paese, in Europa, a livello di Nazioni Unite), per preparare l’avvento di questo sistema o altri analoghi che portino l’intelligenza artificiale ad essere di aiuto all’umanità.
Sono un fautore del potenziamento dell’umano e non del suo rimpiazzamento, salvo i casi di un lavoro ripetitivo e alienante che meglio si sposa a entità cibernetiche inanimate e prive di ambizione. In moltissimi casi scegliere l’una o l’altra via appartiene invece alla nostra discrezionalità. La mera sostituzione dell’umano con robot o programmi software senza preoccuparsi di cosa capiterà al capitale umano in alternativa e affidandosi a un “ci penserà il mercato del lavoro” è estremamente rischiosa.
La presenza di un umano nel “loop” di qualsiasi processo automatico alimentato da intelligenza artificiale è dunque non solo consigliabile per controllare allucinazioni, bias e similia, ma anche per questioni psicologiche e sociologiche, per restituire all’umano l’assunzione di responsabilità, il controllo, la decisione finale. Senza queste prerogative ci consegneremmo alle macchine o, più precisamente, a chi quelle macchine produce e governa, nell’attesa che quelle stesse macchine prendano coscienza di sé e si cimentino col libero arbitrio, ad oggi nostre prerogative.
Calo il sipario su questa serie di editoriali lasciandovi però un dubbio su cui mi arrovello da tempo che riguarda proprio il grande enigma irrisolto della coscienza.
Secondo alcune teorie la coscienza di noi stessi deriva dalla nostra capacità di connettere tra loro esperienze. Con tali esperienze e connessioni, l’autocoscienza matura progressivamente nei primi anni di età di pari passo allo sviluppo cerebrale. È quella la fase in cui costruiamo modelli del mondo che viviamo via via più precisi con l’affinarsi dei nostri sensi, e li confutiamo di quando in quando aggiornandoli con la forza della sorpresa che genera un accadimento imprevisto.
Se un alleato digitale diventerà una sorta di nostro simbionte cumulando con noi esperienze, imparando a essere il nostro partner cognitivo ideale, migliorando con noi di esperienza in esperienza, di progetto in progetto, di sfida in sfida, non è che maturerà anch’esso una sorta di coscienza di sé per rapporto alla nostra?
Qui oramai a spararla grossa si rischia di azzeccarla.
Alla prossima settimana! Parleremo d’altro.