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Putin e Trump al tavolo

In questa rubrica abbiamo già visto lo stile negoziale di Trump: aggressivo, rumoroso, butta l’amo nell’assurdo, per raccogliere qualsiasi concessione che la controparte faccia per farlo ragionare. Con tutta una serie di pecorelle, da Panama, alla Danimarca, al Canada, al Messico, questo approccio si dimostra efficace, almeno nel breve periodo.

Con Putin siamo agli antipodi: cinico, silenzioso, tiene le carte ben coperte per poi sorprendere l’avversario con mosse inaspettate, ma sempre logiche. Finalmente, han deciso di sedersi al tavolo per trattare sul conflitto ucraino.

Mi spiace per le anime pie che vogliono l’Ucraina, i paesi europei o qualche altro stato possano essere decisivi all’esito di questa negoziazione: a tutti gli effetti contano come il due di picche a briscola, e la probabilità che riescano a coalizzarsi in modo serio per esercitare una pressione efficace, è asintotica a zero. Chi ha più bisogno di negoziare e di chiudere il conflitto alla svelta?

Trump e l’America hanno già ottenuto tutto il possibile da questo conflitto: dato fondo agli immensi magazzini di armamenti e riempito le casse delle aziende produttrici, guadagnato a mannella vendendo gas liquefatto agli europei, costretto l’Europa a maggior dipendenza anche rispetto alla Cina, perso pochissimi ragazzi nelle trincee. Ma Putin è ancora lì ed appare ben saldo al comando, e Trump non può permettersi di essere il primo Presidente a perdere contro la Russia: il suo capitale politico sparirebbe all’istante.

Putin sembra sicuro di se’, ma ha perso centinaia di migliaia di soldati, ha milioni di immigrati da integrare, ha dovuto convertire l’economia alla guerra, e prima o poi dovrà far la pace con i cugini ucraini. Dopo tutte le torture, uccisioni e stragi di questi tre anni, quella linea di confine sarà fatalmente tossica per altre tre generazioni e migliaia di vittime. Putin non può stendere un velo pietoso e ripartire a volersi bene come nulla fosse successo. Ai due presidenti serve chiudere il conflitto quanto prima, e mettere a tacere qualsiasi dissenso ed anima pia che voglia la pace “giusta”.

L’immobiliarista e la spia del KGB sono arrivati al vertice dei loro paesi, ed è evidente che gli piace starci: cosa si saranno detti in quelle due ore al telefono? Quasi sicuramente si son messi d’accordo per non picchiarsi a vicenda, specie in pubblico: devono per forza dirci che la trattativa fa’ progressi, che vedono la luce in fondo al tunnel e non è uno scoppio nucleare. Entrambe sanno che dovranno fare inghiottire un boccone amaro alla propria squadra, è l’effetto collaterale della negoziazione. Di conseguenza devono allargare la torta, non limitarsi all’Ucraina ma rendere il piatto più ricco, per indorare la pillola alle greggi.

Non è sorprendente che Putin abbia concesso ad una banca americana di tornare a lavorare in Russia, tantomeno che Trump abbia evitato ulteriori sanzioni e faccia ripartire qualche commercio. Più riempiono il piatto, più sarà facile dire che hanno fatto un affarone; meglio di così non si poteva. Per i giusti che invece di essere al tavolo sono sul menù, le prospettive non sono ideali. Se davvero fosse l’America a far ripartire il North Stream invece che la Germania, ci sarebbe da ridere a lungo.

La massima fregatura è probabile che arrivi sul meccanismo di controllo, quel processo ed organizzazioni che dovranno impegnarsi a fare in modo che gli attentati e le sparatorie diminuiscano, ad un livello minimo per far ripartire un’apparenza di normalità in Ucraina e Russia confinante. Ve li immaginate caschi blu indiani, pachistani ed africani sparsi lungo tutto il confine tra i due paesi, a separare milioni di persone che si odieranno ancora per anni? E chi andrà a sminare 174.000 chilometri quadrati, l’equivalente di sette Sicilie? Auguri: l’orrore della guerra è tutto qui.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.