DOPO LA MAMMA C’È SOLO LA TAV
Quando scrivo di Tav faccio sempre una premessa. Sono Si Tav, non per i motivi (alti) espressi dal mainstream dominante, ma perché quando si inizia un’opera pubblica la si porta a termine, punto. Ho partecipato al corteo di Torino “Sì Tav” di sabato 6 aprile, perché quando c’è un corteo io mi ci ficco. E’ un piacere fisico, di solidarietà umana: ho amato i cortei della Fiom perché lì c’erano i miei colleghi dell’officina 5 di Mirafiori, per tanti anni mia casa famiglia. Qua perché ci sono i miei amici delle élite. Come apòta so di appartenere a una infinitesima minoranza che mai potrà organizzare un corteo, abbiamo idee e comportamenti talmente fuori dal coro del politicamente corretto dominante, di oggi come di ieri, che mai potremo fare massa. Per questo partecipo ai cortei degli altri, ideologicamente mi vanno tutti bene, come liberalenature ho rispetto per ciascuno di loro, purché non siano volgari o cattivi.
Per essere a Torino in tempo per il corteo il mattino, e al pomeriggio alla partita di calcio del mio nipotino Jacopo (4° elementare), sono rientrato in fretta e furia da Verona, dove avevo partecipato a un dibattito con il Procuratore di Venezia Antonio Condorelli, moderatore l’amico Stefano Lorenzetto, sul mondo della Rete, alla presenza di 600 studenti degli istituti professionali (potenziali lettori di Zafferano?). Ho sostenuto una tesi ferma, a favore della totale libertà della Rete, perché le peggiorifake news, e specie le fascistoidi fake truth sono quelle istituzionali, partorite dal Ceo capitalism dominante e dai loro maggiordomi dei media.
Alle 9,30 ero da Ghigo per il caffè con la sua mitica panna, una Madamin (di seconda fascia) mi ha riconosciuto e ha bollinato “Si Tav” il mio giubbotto Rick Owens vintage (in questo le Madamin hanno occhio). Potevo sfilare.
Tutti cortei torinesi importanti partono proprio all’altezza del civico 9 di piazza Vittorio Veneto, dove sono nato. Qua si danno la struttura voluta dagli organizzatori, secondo un loro criterio strategico. Questo del Tav, era chiaramente un criterio classista, cioè in base al livello di reddito dei partecipanti. In testa le Madamin e gli industriali (molte donne, pochi uomini, la neve fresca del fuoripista primaverile li aveva portati a Sestriere). Poi, quattro di numero, giovanissimi figli della Ztl con un cartello molto fotografato (“Dopo la Mamma c’è solo la Tav”; ragazzi si dice il Tav, treno ad alta velocità). Quindi i pensionati, soggetto sociale, almeno nella Torino Fiat free, diventato importantissimo visto che funziona come bancomat-welfare per figli e nipoti in crisi, dopo le rapine istituzionali fatte alla classe media e povera dai premier succedutisi dal 2011. Chiudono i lavoratori, mogi e silenti, visto il degrado sociale nel quale il “sistema” li hanno fatti precipitare con il micidiale “pilota automatico” di Mario Draghi & Soci. Avrei voluti abbracciarli uno a uno, tanto erano abbacchiati.
Sul Tav ho letto tanto (mi manca solo l’ultimo libro di Marco Travaglio & Soci). Le teorie sottese sono impeccabili, ma una cosa (execution) non l’ho capita. Questa rete ferroviaria per essere un Tav deve comprendere un breve percorso da Torino al Tunnel con binari attrezzati per l’alta velocità (l’Italia li farà), una galleria di 57 km, una tratta di centinaia di km per l’alta velocità, tutti in territorio francese, per arrivare a Lione (km totali 235). Una persona normale riterrebbe che mentre si fa il Tunnel (da completarsi tassativamente entro il 2030), in contemporanea si costruisca il tratto attrezzato fino a Lione. Invece no, i francesi lo decideranno (sic!) nel 2038 (sic!). Giustificazione: le Ferrovie francesi sono troppo indebitate. Mi pare un’idiozia.
Seppur fané mi sono atteggiato a giornalista trasferendo questa domanda a rappresentanti presi a caso dai vari spicchi del corteo. Non ho trovato nessuno che fosse informato del “paletto 2038” di Emmanuel Macron. Questo mi pare metta in crisi tutto l’ambaradan politico-ideologico del Tav (alta velocità per 57 km, normale per gli altri 178. Quale la ratio?). Care Madamin, ve lo posso dire? “Suma bin ciapà”.
A TORINO, I CRIMINALI (BIANCHI) DEI CENTRI SOCIALI HANNO PERSO
E’ un mio problema, l’ho ogni fine settimana. Come passarlo, possibilmente divertendomi (intellettualmente) da apòta quale sono, non legato a nessuna ideologia, in un mondo sempre più spaccato in fazioni? Avevo due opzioni, entrambe estreme. Andare a Torino dove, mi dicono, giocheranno alla guerra i suprematisti bianchi della sinistra estrema (centri sociali), o a Verona dove si riuniscono i suprematisti bianchi, che si definiscono “eroi della famiglia” e le altrettante suprematiste bianche che li contestano? La scelta è stata facile, perché tecnica. No a Verona, visto che ci sarò fra pochi giorni, il 5 aprile a un dibattito, moderatore Stefano Lorenzetto, con il Procuratore Antonio Condorelli di Venezia sul tema “Più liberi o presi nella Rete?” (Istituto Salesiano San Zeno, con una platea da 600 persone). Chi dovesse passare per caso nelle adiacenze si affacci, sarà accolto con simpatia, tranquilli, parliamo di internet.
Meglio andare a Torino, oltre tutto casa mia è a pochi metri dal Teatro Regio, dalla Prefettura, dalla Regione, i luoghi del potere culturale e politico della città. A Torino ci saranno gli “anti populisti più estremi”, di volta in volta li chiamano “anarchici”, “black bloc”, “centri sociali”. Per fortuna Francis Fukuyama (liberal in purezza, principe del mainstream) ha precisato in modo puntuale che “Il populismo è la sommatoria di tutte quelle politiche che non piacciono alle élite”. Non avrei saputo dirlo meglio. Perché, dice, “populismo” è una semplice etichetta, non esiste un’ideologia, un pensiero politico, un modello economico, di tipo populista. Sono d’accordo, per me il populista è banalmente, per usare un linguaggio populista, uno che si è stufato delle politiche monetarie, fiscali, etiche, dell’immigrazione, che lo penalizzano, e invece lui, secondo costoro, dovrebbe pure esserne felice. Anche se non hanno letto Immanuel Kant i populisti qualcosa devono aver annusato, e hanno detto basta (ottusamente of course) a queste pelose furbate intellettuali.
Mi sono appoggiato a un amico, ufficiale di Polizia a Torino, che mi ha raccontato la strategia che questa volta avrebbero seguito per opporsi ai previsti 2.000 delinquenti comuni. Nulla di segreto, sia chiaro, il giorno dopo (venerdì) La Stampa con due pagine in Cronaca avrebbe raccontato come la Polizia si sarebbe opposta ai loro cinque concentramenti atti a paralizzare Torino. Comunque le minacce di costoro hanno avuto un notevole successo comunicazionale: la Polizia ha messo noi della Ztl a “liberi arresti domiciliari”. In realtà, ci siamo goduti un centro di Torino mai così bello: scomparse le élite (sulla neve o al mare), scomparsi i dehor e i loro chiassosi, spesso volgari, occupanti, scomparsi i tram, il bel sole, le montagne innevate sullo sfondo, un’aria frizzante, erano tutti per noi. Circondati da delinquenti comuni, eravamo prigionieri ma felici. Certo non altrettanto è stato per i negozianti che per colpa di costoro si sono “bruciati” il fatturato della settimana.
Il finale è stato esaltante (finalmente) per la Polizia di Stato, quindi per noi cittadini perbene. La preannunciata ira funesta di questi giovani criminali bianchi (è giusto sottolinearlo perché costoro fanno pendant con i criminali neri italiani alla Ousseynou Sy e soci) è fallita, perché è stato sequestrato preventivamente il loro arsenale di guerra proprio nel centro sociale dell’Asilo. Per la prima volta politici e intellò che si erano, fino al giorno prima, sempre sperticati in difesa di individui indifendibili hanno taciuto. Forse perché erano sulla neve o al mare? Vedremo ora cosa si inventeranno.
FASCIO ILLUMINISMO IN PUREZZA A EAUBONNE
Al mercato di piazza Madama Cristina, chiedo al mio baffuto fruttivendolo fragole di Marsala e noci di Grenoble per la mia prima colazione con lo yogurt, dicono preziosa per i convalescenti. Un’anziana signora (nom de plume, Maria) mi fa notare, sorridendo, che lei le noci di Grenoble non le compra più, per disprezzo verso i francesi di Emmanuel Macron, che, mi dice, voleva trasformare la Sicilia in un campo di concentramento di migranti africani. Mi spaccio da giornalista (i giornali mi pubblicano, ma in realtà non sono certificato, sono un intruso) e invito Maria a prendere un caffè al bar all’angolo. Parto dalle noci, quelle di Grenoble non hanno scarti quindi, pur costando 7 € al chilo sono più convenienti, e più buone delle altre, italiche e no. Concordo con Maria sul giudizio politico-umano (pessimo) su Macron. Siamo in San Salvario, nel quartiere più multietnico della città, l’unico che, di giorno, ricorda ancora la “mia” Torino anni Cinquanta, e dove vivono tre dei miei quattro nipotini (di notte però ricorda Johannesburg), ma basta fare 200 metri e siamo “in centro”, come diciamo noi. Il “centro” invece pullula di macroniani di complemento, madamin di lotta, ex fornitori Fiat vecchie cuscute che si spacciano ancora per industriali e che non hanno ancora capito che i prossimi poveri saranno loro. Racconto a Maria un episodio successo a Eaubonne, un’ora di treno da Parigi, il 12 marzo scorso (i miei amati “segnali deboli” che cerco di captare ovunque) e che rappresenta al meglio la Francia fascio-illuminista di Macron.
Jean Villot, 57 anni, era un maestro elementare, a detta di tutti più dolce che severo, alla fine della lezione del 12 marzo, chiede a un suo allievo di 6 anni di spostarsi perché stravaccato sui gradini impedisce il passaggio ai suoi compagni. I richiami verbali sono inutili, anzi il piccolo reagisce insultando il maestro (sic!), allora Villot lo prende per un braccio, lo sposta, procurandogli un piccolo graffio. E’ l’inizio della fine per il maestro Jean Villot: è entrato nel protocollo occidentale del politicamente corretto, ne esci o morto o zombie. Il 13 marzo la famiglia del bambino lo denuncia alla Polizia per “violenze aggravate su minore”, il Rettorato, anziché convocare i genitori del piccolo rivoluzionarlo e sospenderlo, convoca lui per spiegazioni per il 14 marzo. Il suo cellulare si surriscalda, altri genitori lo insultano e lo minacciano. Venerdì 14 marzo al mattino accompagna la moglie alla stazione poi si impicca nel bosco vicino al paese, lasciandole una lettera “… non sopporto di difendermi da accuse assurde”. Il lunedì arriva da Parigi il funzionario ministeriale, intima agli insegnanti di mantenere la calma, fingere che non sia successo nulla per “garantire l’ordine pubblico” (sic!), solo tre insegnanti possono partecipare al funerale (sic!), tutti gli altri a scuola. Una vergogna di Stato, che tentano successivamente di coprire con un minuto di silenzio in sua memoria.
Per fortuna c’è la rete, ci sono i social, traboccanti di racconti simili dove la “scuola repubblicana”, un tempo mitico “ascensore sociale” è giustamente attaccata dai ceti popolari perché si è appiattita sul fascio illuminismo di Macron e soci che, non dimentichiamolo mai, voleva far pagare una tassa ai possessori dei diesel indispensabili ai poveracci per andare a lavorare, in carenza totale di servizi pubblici, perché i macroniani fighetti del XVI° si comprassero con lo sconto le Tesla.
Ho invitato Maria a continuare a comprare le noci di Grenoble, tanto le proteste degli insegnanti contro Macron e contro le sue politiche sciagurate continuerà: il loro movimento si chiama, ironicamente, #PasDeVagues, versione colta dei gilet gialli. E Macron che fa? Li invita a “non fare onde”, cioè tacere, per non alimentare i problemi parlandone, o scrivendone, troppo (sic!). Tacere i problemi (il “non parlare al manovratore” degli anni Trenta) è fascio illuminismo in purezza. Prosit.