I famosi “giornaloni”, così come le principali televisioni, che quand’era Papa non avevano perso occasione per sottolineare la presunta arretratezza delle vedute su famiglia, vita e società hanno passato quasi sotto silenzio tutto questo per provare una tardiva santificazione laica, fatta di esagerati apprezzamenti generici e confusi, spesso estorti con le telecamere ai poveri fedeli in visita alla salma del Pontefice emerito defunto. Una signora dice alla RAI che la sua grandezza è di aver detto che la fede c’entra con la ragione, snobbando senza volerlo un paio di millenni di pensatori cristiani che non hanno detto altro. Un altro signore dice che lo devono fare “santo subito”. Simpatica espressione, che però, oltre che essere stata svuotata dal troppo uso, ignora che la proclamazione dei santi non segue una mera logica di scelte politiche. Il pubblico da casa però sembra apprezzare. Come mai questa riabilitazione postuma? La vittoria del senso della realtà e il pentimento per il trattamento precedente? Oppure solo il potere di televendita delle morti illustri? Oppure, il tentativo di attaccare l’attuale papato attraverso il vecchio pontefice? Ma non era il Pontefice regnante a essere stato per molto tempo il beniamino dei medesimi comunicazionisti?
Significativo anche il balletto sulle cifre delle persone presenti alle esequie: i giornali di ogni estrazione ne annunciano trentamila, poi rimangono impressionati dall’enorme numero di persone in fila nei due giorni di esposizione della salma e correggono le cifre aspettando centomila persone. Infine, di fronte alla piazza non certo piena, si accordano tutti per un finale di cinquantamila presenze mentre le riprese aeree non confermano riprendendo una piazza con molti spazi vuoti. Lo stesso accade per l’omelia di Papa Francesco, che sembra o triste o infastidito o amareggiato o sofferente ma di sicuro è estremamente asciutto, molto lontano dai toni enfatici dei servizi giornalistici. La maggior parte degli informatori fa finta di non notarlo e riporta solo l’ultima frase, l’unica con accento personale. La minoranza che lo nota, invece, non si fa alcuna domanda e procede dritta verso la narrativa dei due papi in fondo ostili e delle due chiese contrapposte. A proposito, in molti fanno notare le critiche del segretario particolare di Benedetto senza peraltro rilevare troppo l’inopportunità di commenti – e dell’uscita di un libro – così discordanti con lo spirito del Pontefice defunto mentre ancora è aperta la bara. Così, spesso nelle stesse pagine o nel giro di un paio di servizi, la Chiesa cattolica è in perfetta salute e in crisi, i due Papi sono stati amici e nemici, i due papati sono in continuità e discontinuità.
Sul lato intellettuale non va meglio. La morte del Papa filosofo e teologo crea un profluvio di articoli, dove tutti cercano di tirarlo dalla loro. A leggerli tutti, Benedetto XVI è stato conservatore e progressista, fan allo stesso tempo dell’identità valoriale premoderna e dell’illuminismo radicale, persecutore del relativismo ma anche amico del nichilismo, quasi un seguace del governo di destra-centro ma anche il suo critico peggiore. Insomma, a leggere e ascoltare ciò che si è detto e scritto, è stato tutto e il contrario di tutto.
Forse, la verità è che si trattava di una persona di una purità morale diversa dalla norma, la cui realtà effettiva, proprio per questo, – da Papa regnante e da Papa emerito – è stata sempre molto diversa dall’immagine dei suoi fan e dei suoi critici, che non si curava né di assecondare né di smentire. Le figure di questo genere hanno il grande potere di rimanere se stessi, esseri umani con molte sfaccettature, e di svelare i cuori ideologici dei loro interpreti. L’ideologia non si fa interrogare da ciò che avviene ma detta la propria linea a prescindere dalla realtà perché vuole rimanere fedele alla propria immagine. E, se ho ben capito, quello dell’immagine non era il problema di fedeltà che interessava a Benedetto XVI, come Papa e come uomo.