Pensieri e pensatori in libertà


Il Gius, il centenario e la Chiesa

Oggi, 15 ottobre, la Chiesa Cattolica festeggia la memoria di Santa Teresa d’Avila, quella dell’estasi mirabilmente scolpita da Bernini in Santa Maria della Vittoria a Roma. Oggi, però, in piazza S. Pietro il Papa, insieme a qualche decina di migliaia di persone, festeggerà anche il centenario della nascita di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. 

Don Giussani, il “Gius” per i molti suoi amici, è stato il protagonista di una piccola rivoluzione nel mondo cattolico, dalle grandi conseguenze sociali. Aperto, curioso, intelligente e colto ma anche popolare e concreto nell’execution, don Giussani ha introdotto nuove parole e modi nuovi di essere cristiano. Da lui sono entrate nel linguaggio della Chiesa le parole “incontro”, “avvenimento”, “ragionevolezza” come descrizione umanissima dell’esperienza cristiana. Da lui è derivata la reintroduzione nel mondo politico italiano della parola “sussidiarietà”, che era finita nel dimenticatoio di una dottrina sociale della Chiesa non più conosciuta e praticata dai politici. Da lui, soprattutto, è nata la possibilità che il cristianesimo - roba da vecchi e da beghine - potesse essere una vita affascinante, e addirittura “cool”, per migliaia di giovani normali, non più educati cattolicamente. Di “cool” nel cristianesimo di Giussani c’è il valore sommo dell’amicizia, l’uso caparbio della ragione, il linguaggio diretto e franco, l’anti-moralismo, l’impegno sociale e politico in qualsiasi ambiente. La fede, insomma, non è nemica dell’essere umano e non passa il tempo con un elenco di cose da fare e da non fare, ma è un flusso di vita radicale, pieno di ragione e di creatività, oltre che di inevitabili errori e riprese. Così, il cristianesimo alla Giussani ha incontrato decine di migliaia di ragazzi di fatto determinando una delle poche alternative culturali serie al marxismo negli anni ‘70 e ‘80, per poi dilagare un po’ in tutto il mondo negli anni ‘90 come proposta forte nel mondo del nichilismo debole.

Alla morte di don Giussani, avvenuta nel 2005, nel mondo di CL, come in tutti i movimenti nati nell’epoca del Concilio Vaticano II, si è presentato il problema di come proseguire. I ciellini, con la radicalità che li contraddistingue, hanno provato a sostenere che ogni successore di don Giussani dovesse per forza avere il medesimo potere di cambiamento e persuasione del fondatore così da potersi affidare a ciò che questi pensa, dice e fa. Non ha funzionato. Non ha funzionato educativamente, per cui dalle scuole e dalle università italiane sono pressoché scomparsi i vivaci gruppi dei ciellini, e non funziona umanamente e dottrinalmente, come la Chiesa ha provato a spiegare loro. Morto un fondatore, non se ne fa un altro. Non esiste la successione del carisma, non ci sono altri fondatori con la stessa intelligenza e carità, ma occorre invece che ciascuno provi a sviluppare insieme agli altri la fortuna enorme di avere incontrato ciò che il popolo, con un po’ di semplificazione e molta verità, chiama un “santo”. Fare propria e sviluppare l’eredità di un padre non è mai semplice, e figuriamoci quando si tratta di un’eredità spirituale di questo genere, che, per definizione, non è solo questione di volontà e olio di gomito, ma anche di quella che i cristiani chiamano “grazia”, cioè di altri eventi e personalità eccezionali. Ora, la Chiesa, spiegati gli errori, spera che avvenga il miracolo della ricostruzione di quella presenza allegra, intelligente e fattiva che don Giussani aveva cominciato. Succederà? Ce la faranno i figli a riportare in auge l’azienda del padre, rinnovandola senza ripetere frasi e schemi vecchi? Difficile da dire, ma amici e nemici dovrebbero augurarselo per non perdere un patrimonio di umanità che è di tutti.


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