Lasciando il giudizio geo-storico-politico sulla figura di Michail Gorbačëv (1931-2022) agli esperti, vorrei qui ricordare tre aneddoti che mi sembrano rilevanti.
Il primo è l’apparizione del 1999 al Festival di Sanremo organizzato e condotto da Fabio Fazio. Nel pieno del mood postmoderno dell’epoca, l’ex presidente dell’Unione Sovietica, l’uomo che aveva deciso il cambiamento di un’epoca, faceva fatica a trovare spazio per i suoi discorsi impegnati davanti a un Fazio che cercava di indebolire il peso di argomenti e concetti, rovesciando il discorso nella battuta e nell’osservazione leggera. Era uno strano contrasto, di cui nei brani caricati su Youtube si vede purtroppo poco (ma sono sicuro che si trova sul web con una ricerca più accurata; se qualche lettore trova il file, è pregato di inviarcelo), che era però esemplificativo di un confronto: Gorbačëv era stato protagonista, nel bene e nel male, di una vicenda storico-politico-filosofica densa come quella sovietica, che aveva coinvolto milioni di persone e che aveva segnato il destino dell’intero XX secolo. Aveva bisogno di capire e di farsi capire, di riflettere e di dire, anche per giudicare il proprio operato nella storia, che cosa c’era stato di buono e di cattivo. La nostra cultura occidentale, invece, aveva deciso – salvo ricredersi con l’11 settembre 2001 – che non c’era alcun concetto, valore, ideologia, idea che valesse più degli altri e che, in fondo, era meglio cercare di alleggerire i pensieri e le storie. Paradossalmente, il politico sovietico poneva i problemi seri di ciò che vale per l’uomo e il conduttore occidentale gli diceva che era inutile.
La medesima questione ritorna nell’autobiografia di Gorbačëv, Ogni cosa a suo tempo, il lungo memoriale pubblicato in Italia nel 2013. Il memoriale, come tutti quelli dei grandi uomini, è storicamente poco attendibile in tanti aspetti, ma è significativo nei giudizi. A un certo punto del racconto, Gorbačëv narra con naturalezza e neutralità il suo incontro con Ronald Reagan. Il suo commento è che i due e le rispettive mogli trovarono intesa e addirittura amicizia, scoprendo – dice Gorbačëv – di avere “gli stessi valori”. L’aspetto straziante dell’osservazione è che anche Reagan, pur non scivolando nel postmodernismo del Sanremo di Fazio (ma era il 1985 e il postmoderno stava emergendo allora) non aveva nessun valore originale da offrire a chi veniva da settant’anni di comunismo. Alla fine, con qualche accento diverso, più sull’individuo o sulla collettività, i due pensavano all’incirca le stesse cose.
L’ultimo aneddoto è un’intervista a Gorbačëv, che egli stesso cita nella sua autobiografia, nella quale emerge il suo amore per la moglie Raissa. Quest’ultima era morta nel 1999. Quando, qualche anno dopo, gli viene chiesto chi vorrebbe incontrare in un eventuale aldilà, l’ex presidente risponde senza dubbi: “Raissa, abbiamo ancora tante cose di cui parlare”. È davvero una grande dichiarazione di amore, che fa emergere il tessuto di un rapporto intimo, fatto di dialogo, di tentativo di capire il mondo e i suoi mutamenti. Protagonisti di uno dei grandi cambiamenti della storia, forse Michail e Raissa cercavano una lettura adeguata di ciò che era successo loro e, attraverso di loro, a tutto il mondo. Noi occidentali non abbiamo saputo offrirla. Speriamo che in effetti si rivedano ora, e che ne possano parlare a ragion veduta.