IL Cameo


La giostra della guerra ucraina trasformata in locuzioni-kalashnikov

Durante tutta la Guerra Ucraina (6 mesi) mi sono astenuto dallo scriverne. Ne scriverò compiutamente quando sarà finita, forse.

In realtà, un tentativo iniziale l’avevo fatto, augurandomi banalmente un intervento di Papa Francesco. Mal me ne incolse, le truppe cammellate del nuovo Esercito della Salvezza (Cancel&Woke Mafia), come dicono i colti, mi “asfaltarono”. Era l’epoca in cui i potenti volevano veder scorrere il sangue, degli altri. Poi arrivò il “grande caldo” e, nella scala dei valori, il sudore sostituì il sangue, e si placarono. Ora non sanno come uscire dal cul de sac ove si sono infilati.

In realtà, per quieto vivere, non scrissi più nulla. Ma la storia della Guerra non l’abbandonai mai, era troppo affascinante per i miei studi sul CEO capitalism, documento dopo documento, raccolsi carte, interviste, video, podcast. Ai margini della guerra vera, ne nacque un’altra, cultural-personale fra fazioni di aristocratici. Così, Putiniani e Antiputiniani (amavano chiamarsi così), si scontrarono per cinque mesi sui loro giornali. Noi Plebe, li osservammo divertiti.

Poiché questo scontro mortale fra élite era, per me, culturalmente imbarazzante, mi buttai nello studio delle locuzioni-kalashnikov con le quali costoro, nati dagli stessi nobili lombi, si combattevano. Rimasi affascinato dalle parole che costoro usavano nelle loro polemiche. Ecco alcune locuzioni raccolte:

1. vocazione provocatoria e guerrafondaia

2. sudditanza al verbo americano

3. incoerenza intellettuale

4. volgare ipocrisia

5. incapacità a riconoscere la multipolarità del mondo

6. intenzione di mettere a punto un grande Reset culturale

7. esportatori di pseudo democrazia con le baionette

E ancora, feroci paralleli dialettici:

8. neocolonialismo israeliano

9. statalismo coercitivo cinese

10. discriminazione castale indiana

11. razzismo nero sudafricano

12. primitivismo saudita

13. teocrazia iraniana

14. cultura genocida turca

15. satrapismo africano

16. oscurantismo afgano-pakistano

Per ultimi metterei, perché appena sfiorati, il capitalismo selvaggio indonesiano, in contrapposizione alla losca austerità giapponese (questo, confesso, non l’ho capito).

Come evidente, mancano, e non se ne capisce la ragione, il comunismo illiberale cubano e il caudillismo antillano.

Comunque, come previsto, all’arrivo dell’anticiclone Apocalisse 4800, chiusi i salotti (invivibili senza aria condizionata), infrequentabili le terrazze, dimezzate le redazioni, ritornato prepotente il losco Covid 19 in grado di superare persino i booster, l’aristocrazia si trasferì in villa, nei casali, negli chalet, nei masi, dimenticando all’istante tutto l’ambaradan politico-militare-culturale dell’Ucraina. Esattamente come avvenne un anno fa, dove donne e bambine afgane, esaltate e protette per vent’anni da lor signori, furono abbandonate alla furia talebana, appena Joe Biden lo decise. E su di loro piombò il silenzio.

Presto, resettata culturalmente la Guerra, inizierà la mitizzazione di chi la Guerra, di riffa e di raffa, la farà finire. Sarà il losco Sultano, membro principe della NATO, il “dittatore”, il “criminale di guerra”, il “macellaio dei Curdi nostri alleati”? Se ci riuscirà, verrà definitivamente assunto nel Pantheon dell’Occidente. Quelli la chiamano “Real Politik”.

Una Guerra nata così, svoltasi così, non potrà che finire così: un criminale di guerra che detta le condizioni di pace ad altri criminali di guerra.

Come in ogni guerra, concepita e condotta da gerarchi ricchi e potenti verso altri gerarchi ricchi e potenti, sono morti solo i poveri, dell’una e dell’altra parte. Si puliscono la coscienza chiamandoli eroi. C’est la vie.

Zafferano.news

Post Scriptum. Di alcune locuzioni-kalashnikov sono debitore allo scrittore-giornalista svizzero Marco Alloni, egiziano d’adozione, che ringrazio di cuore.

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