Pensieri e pensatori in libertà


Il follemente corretto, aspettando un nuovo Molière

Il manifesto del libero pensiero di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi andrebbe letto in tutte le scuole e le università e sono lieto che venga distribuito con la Repubblica, giornale a vasta diffusione, nonostante la perdita costante di copie. Non penso che il librettino sia perfetto, ma mette in luce in breve e con un bel dire l’ideologia del politicamente corretto 2.0 che sta... 

... arrivando dagli Stati Uniti.

Delle evoluzioni del politicamente corretto si è parlato molto anche su queste colonne virtuali grazie a Roberto Dolci, Riccardo Ruggeri e al sottoscritto. Mastrocola e Ricolfi classificano bene le varianti attuali di questa ideologia, spesso sposata da una sinistra che ha dimenticato i problemi sociali per dedicarsi alle battaglie etiche: la suscettibilità estrema, il misgendering che conduce ad asterischi e schwa, la cancel culture che tira giù le statue dei cattivi e proibisce di leggere testi “sbagliati” del passato (cioè, quasi tutti), la discriminazione contro coloro che non partecipano attivamente alle campagne ideologiche, la politica dell’identità per cui solo uno che appartiene a una minoranza può dire qualcosa di quella minoranza (solo quelli che tifano Toro possono parlare del Toro).

Oltre alla classificazione, però, ci sono due punti qualificanti: la difesa dell’ironia e il valore dei gesti. Mastrocola e Ricolfi fanno notare che questa ideologia in arrivo toglie la possibilità della forma retorica dell’ironia, che è una presa di distanza piena di affetto, un cambiamento di direzione dello sguardo che evita le fissazioni, abbassa le presunzioni, incrementa le affezioni. I divieti e le soppressioni del linguaggio frenano una delle più sofisticate capacità della lingua e del cervello umani, non a caso l’ultima che si apprende nel padroneggiare una lingua straniera e il segno della maturità nella propria lingua madre.

Inoltre, il Manifesto difende giustamente, anche se brevemente, il fatto che il bene si esprima in gesti, azioni determinate e piene di significato, e che la parola valga in quanto gesto: dire la parola giusta senza che essa esprima e realizzi un’idea di bene è inutile. Non include nessuno, fa solo sentire a posto una malintesa coscienza.

Ci sono anche due punti deboli, che qui elenco solo come suggerimento per aumentare le adesioni al Manifesto. Il primo è filosofico: i due autori fanno risalire questa credenza sul potere del linguaggio all’idealismo e la oppongono al marxismo, che si sarebbe occupato della realtà delle cose. No, le filosofie ottocentesche non c’entrano: dagli anni ’30 del secolo scorso negli Stati Uniti si è insegnata quasi esclusivamente una filosofia che fa coincidere la realtà conoscibile con il linguaggio, e si sono tralasciati in nome del linguaggio esatto tutti i problemi sociali. Dopo cinquant’anni di questo insegnamento analitico, come poteva non venire in mente che cambiare il linguaggio fosse anche cambiare la realtà? È un neo-nominalismo che ha radice antiche, addirittura medievali e che si è sposato con la filosofia analitica, la cultura pop postmoderna e il costruttivismo contemporanei.

Il secondo punto debole è un po’ di eccessiva idealizzazione dell’arte per l’arte o dell’inutilità dell’arte. L’arte, e le parole in quanto arte, sono libere non se non hanno padrone, che un po’ c’è sempre e inevitabilmente, ma se hanno qualche valore reale da esprimere e difendere. Il problema del politicamente corretto 2.0, come detto in una perfetta espressione del Manifesto, è che vuole instaurare l’uguaglianza attraverso le discriminazioni invece che sconfiggere le discriminazioni attraverso l’uguaglianza. L’uguaglianza come fine diventa così un termine astratto, che finisce nelle immense contraddizioni per cui ogni correttezza di oggi diventa la scorrettezza di domani, in un ridicolo inseguirsi di moralismi.

Giustamente, Mastrocola e Ricolfi dicono che ci vorrebbe un Molière per mettere in scena il ridicolo di tutto questo. Speriamo che arrivi presto, ma intanto loro hanno fatto un bel lavoro per spiegare a tutti che cosa succede. Non sarà Molière ma almeno è Bayle o Muratori.


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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro