... andare avanti ciascuno per conto suo. Ma solo insieme. Nessuno si salva da solo”. Ma una struttura sociale fortemente cambiata e una concezione di vita estremamente individualistica rendono difficile una coesione sociale. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di SOLIDARIETÀ politica, economica e sociale (ART. 2)” Il Costituente parlava a un “popolo” unito dalle terribili sofferenze di una guerra. Oggi, la “massa” è miope, non scorge l’interesse comune, va educata e sollecitata per raggiungere coesione e solidarietà. Riunirla in uno stadio per una partita, in un comizio con fragorosi altoparlanti, far ripetere gli stessi slogan, propinare fake news per il consenso, non significa "coltivarla", ma solo comandarla. "Popolo" e "massa" sono due realtà ben diverse. Il "popolo" presuppone necessariamente una "comunità" con effettive possibilità di "solidarietà" specie nei momenti di pericolo, la massa è una forma di socialità per nulla umana, senza cultura e coscienza critica. Quando le più elementari norme sociali sono in conflitto, deboli o assenti si crea una situazione drammatica. Smarrito il legame tra il singolo e il “popolo” per il venir meno degli elementi comuni che consentono l'unità del corpo sociale, finiamo per trovarci privi di qualsiasi orientamento. Il tessuto sociale è disgregato. (Emile Durkheim in “La divisione sociale del lavoro”, 1893) L’anomia provoca uno stato di frustrazione e di mancanza di valori in cui individui e popolo dovrebbero ritrovarsi. Le regole sociali hanno una funzione di grande rilievo nell’ordinare anche la vita personale. La libertà senza limiti del singolo, invece, si disperde nei gretti e cinici sogni di un individualismo senza compensazioni solidali.
Questa mescolanza di cultura dei diritti ed egoismo antisociale – ben espressa con i detti "me ne frego", "chi fa da sé fa per tre" – rende “la vita d’insieme” un mercato immorale nel quale si scambiano i diritti con i soldi, il sesso con il successo, la corruzione con il potere, senza più avere una forza di gravità invisibile, un centro di energie etiche capaci di unirci come cittadini nel rispetto per gli altri, nella solidarietà, nell’uguaglianza, nell’onestà. Lo Stato non è un bene comune ma “la grande illusione attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri”. (Frédéric Bastiat, economista e scrittore filosofo francese).
La nostra società è talmente impregnata di questa illusione da influenzare la politica, l’istruzione, l’economia, i mezzi di comunicazione, l’intera vita nei suoi aspetti più personali. Mancano leader in grado di agire legando il proprio destino a quello della comunità, non esiste una classe politica convinta che il principale problema della società è la carenza di interesse per il bene comune. Il compito della politica e della scuola non è quello di guidare le persone come un gregge di pecore, ma di creare, organizzare e guidare una “cittadinanza competente”, educata a vedere nell’altro non un soggetto da sfruttare o uno sfruttatore ma un compagno di viaggio. Una voluta povertà culturale ci forma e ci rende estranei l’uno all’altro, distruggendo le risorse, il mondo, le tradizioni. “Ama il prossimo tuo come te stesso” è un principio di vita che, nel tempo, ci ha tanto aiutato a sviluppare la scienza, la tecnica e l’arte; ci ha reso possibile migliorare la vita e le persone. Le grandi ingiustizie causate in parte dalla natura e dalle ricchezze che essa possiede, sono state e sono create dalla storia e dagli uomini. In un mondo in cui nessuno aiuta nessuno, la sfida alla vita, ai soldi e alla scalata sociale, può solo generare pochi vincitori e tanti perdenti. Purtroppo, la solidarietà verso gli altri è una preoccupazione che nel tempo è svanita, sempre più rimpiazzata dalla diffidenza, è un concetto divenuto difficile, fragile, tanto da essere visto come valore effimero e senza alcun peso considerevole. “Per essere in tutto e per tutto umani e al sicuro della nostra umanità, è necessario che altri umani si prendano cura di noi e che noi abbiamo la convinzione che tali cure ci saranno offerte nel momento del bisogno” (Z. Bauman, Disamore e ginnastica, “La Stampa”, 19 Giugno 2004).
Un sentimento umano di solidarietà e giustizia ci deve far sentire in dovere di preoccuparci delle molte persone che stanno vivendo in realtà disumane. “Perché alla nostra Casa comune sia assicurata la giusta cura, dobbiamo costituirci in "noi", un "noi" sempre più grande che prenda sul serio le sue responsabilità, nella profonda convinzione che ogni bene fatto al mondo è un bene fatto alle generazioni presenti e alle generazioni future”. (papa Francesco)