Pensieri e pensatori in libertà


Le nuove parole d’ordine sulla comunicazione

Ho scoperto che esiste una versione mainstream anche sulla comunicazione. È una versione rassicurante rispetto ai tanti problemi della comunicazione che abbiamo visto emergere: cambiamento della percezione, difficoltà di conciliare controllo e libertà, disintermediazione sociale, crisi degli esperti, affermazione della gig economy (l’economia dei lavoretti). Insomma, tutto ciò che viene denunciato nel docufilm The social dilemma e in tanti libri specializzati e non, incluso Uomini o consumatori? Il declino del CEO capitalism.

La versione rassicurante è la seguente. Non...

... bisogna preoccuparsi dei mezzi di comunicazione e del loro potere perché sono solo contenitori, strumenti da usare. Se chi li usa è buono e ha buoni contenuti, non c’è problema. Sì, c’è qualche inquietudine sul super controllo ma adesso troveremo una soluzione fatta di supertasse. I contenuti di qualità saranno salvati dall’essere a pagamento: chi paga avrà buoni contenuti e tanto peggio per gli altri. Tutto in ordine, dunque: le élite riprenderanno il controllo dell’ecosistema della comunicazione (attenzione a quest’espressione che avrà successo) e guideranno ancora (?) il mondo occidentale, ma globalizzato, verso il successo.

Ma le cose stanno davvero così? Non proprio. Il mezzo non è neutro e non è così facile averne ragione. Un grande sociologo della comunicazione, Marshall McLuhan, aveva notato già negli anni ’60 che il mezzo è il messaggio. Il cambiamento di mezzi di comunicazione cambia il modo di conoscere: così è stato sempre nella storia dell’umanità da quando l’essere umano ha scoperto la raffigurazione (le splendide grotte di Lascaux), e poi quando la cultura scritta ha soppiantato la cultura orale, quando la stampa ha preso il posto dei manoscritti, quando è nata la comunicazione di massa con radio, cinema, televisione. Sappiamo dalle discussioni sulla stampa (delle rivoluzioni precedenti abbiamo poche tracce) e sui mezzi di comunicazione di massa che le discussioni erano uguali a quelle di oggi: non ci stiamo perdendo qualcosa? Non si diventerà stupidi? Si tratta di strumenti buoni o del diavolo? La verità è che in questi cambiamenti si guadagna e si perde sempre qualcosa e che, se le accettiamo, è perché i guadagni superano le perdite.

Inoltre, le rivoluzioni della comunicazione sono sempre rivoluzioni della conoscenza e portano anche cambiamenti sociali: non ci sarebbe stata la rivoluzione francese senza la stampa né i totalitarismi senza radio e cinema. Né, peraltro, Grillo, Obama e Trump senza il web 2.0 e i social. Siamo di fronte a una rivoluzione di conoscenza che è già e sarà anche una rivoluzione sociale.

Quindi sì, bisogna preoccuparsi, senza trasformare tutto in tragedia. Questi mezzi cambiano il nostro modo di conoscere: i contenitori cambiano i contenuti, le percezioni, il giornalismo, le vite e le società. Le élite non riusciranno tanto presto a recuperare la loro funzione, se non cambieranno profondamente e non studieranno la comunicazione come modo di conoscenza sintetico. E, d’altro canto, nessuna rivoluzione di comunicazione e conoscenza deciderà il destino degli esseri umani che restano liberi e che prima o poi verranno a capo dei problemi che sono nati dalle loro stesse mani. La verità è che ci vorrà tempo per imparare a usare la tecnologia senza subirne conseguenze nefaste, ma nel frattempo non basteranno le tasse e l’affidarsi all’intellighenzia per evitare i contraccolpi di una rivoluzione epocale come quella cominciata nel 2005 con il web 2.0.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite