Ci sono storie che non cessano di stupire, in questa Italia dalle mille bellezze. Prendiamo Bassano del Grappa. Nell’immaginario collettivo viene collegata al suo ponte degli alpini. Al nettare che riscaldava l’anima nella guerra di trincea.
Oggi, all’oro bianco, cioè gli asparagi. In realtà Bassano è un incrocio di storie che lasciano stupiti.
Prendiamo la Mostra dedicata ad Albrecht Durer, voluta dalla bravissima Chiara Casarin, nel settecentesco Palazzo Sturm. Venne costruito da Vincenzo Ferrari, imprenditore nel ramo della seta, posta la fiorente bachicoltura presente sui colli, che vedeva nel Brenta, le cui acque lambivano i magazzini, la via naturale verso Padova, Venezia e i mercati del tempo. Nella stessa città, contemporaneamente, prese piede un'altra eccellenza, quella della stampa legata alla Famiglia Remondini.
In un’epoca in cui l’analfabetismo regnava padrone nelle classi rurali, i Remondini seppero, in un certo qual senso, dare voce e racconto alle loro opere, grazie alla litografia, con immagini sacre, ma anche vedute di città, carte da gioco, calendari, soldatini da ritagliare, e quant’altro. Tra dipendenti e indotto, i Remondini erano la realtà imprenditoriale più importante della città, con commessi viaggiatori in tutta Europa e commerci che arrivavano sino in America. Non solo produttori di immagini, ma anche collezionisti di artisti quali Rembrandt, Tiepolo, Canaletto, Piranesi e Albrecht Durer, naturalmente.
Dopo la collezione dell’Albertina Museum di Vienna, i Remondini divennero i più importanti custodi di questo artista nato a Norimberga nel 1471 e affermatosi quale firma di punta dell’imperatore Massimiliano I°, fondatore dell’impero asburgico. Durer, in breve tempo, divenne il più importate maestro incisore del Rinascimento. A Palazzo Sturm si può goderlo al meglio attraverso un ventaglio della sua opera, dalle immagini di ispirazione religiosa a quelle più generalmente laiche.
Su tutti il Rinoceronte, che è, da sempre, il rimando iconico a questo artista. La storia è curiosa. Nel maggio del 1515 un rinoceronte arrivò dall’India a Lisbona, omaggio all’Imperatore Manuele I°. Questi pensò di farne dono a papa Leone X, ma il vascello con il suo carico esotico naufragò al largo di La Spezia. Tuttavia il passaggio del rinoceronte lasciò il segno. Uno scritto inviato a Norimberga giunse nelle mani di Durer, che lesse di una creatura “quasi interamente coperta di squame spessissime, delle dimensioni di un elefante, le gambe più corte, quasi invulnerabile, tanto che davanti a lui l’elefante fugge impaurito”. E così nacque il Rino di Albrecht Durer, ripreso poi da maestri quali Raffaello e Salvador Dalì. Un Rino sempre attuale, riletto ora dall’artista cinese Li-Jem Shih, in acciaio inox, posto all’entrata della Mostra, riflesso di luci tra il cielo e le acque del Brenta, rimando forse a quando sorse Palazzo Ferrari, ora Sturm, da cui partivano i commerci della seta verso le varie stazioni dei mercati serenissimi.
In mostra fino al 30 settembre