IL Cameo


Staremo mica trasformando il mondo in una sommatoria di gomitoli di filo spinato

Staremo mica trasformando il mondo in una sommatoria di gomitoli di filo spinato

Molti anni fa mi avvicinai allo studio, per puro divertissement, di una nuova forma di marketing avanzato. Era il “marketing politico”, subito diventato una scienza (non fateci caso per i “competenti” tutto ciò che loro conoscono è, per definizione, scienza).

L’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca fu uno dei primi casi (di successo) del nuovo approccio. In sintesi ecco l’idea iniziale: “Progresso tecnologico e digitale” da un lato, “Regresso dei valori”, cioè l’estremizzazione del politicamente corretto dall’altro, avrebbero comportato un modello di leadership atta a favorire una politica veloce, leggera, liquida, in grado di adeguare i suoi tempi tecnici a quelli della società. Il nuovo parametro di riferimento avrebbe dovuto essere la “velocità”, uno stile di vita molto moderno, eccitante, spregiudicato. Slogan: “Il mondo cambia” (dice tutto e niente).

Secondo questa teoria, l’ideologia non serviva più al leader potenziale per essere eletto, anzi era una palla al piede, i valori neppure, men che meno i programmi. I leader dovevano solo parlare, agitarsi, essere sempre connessi, essere social, twittare, mobilitare con ogni mezzo le altrui emozioni, considerare il cittadino come un acquirente da discount, senza neppure più fingere di esserlo da boutique. Allora che fare? Si inventarono una vera e propria relazione emozionale, attraverso un meccanismo di racconti il più possibile condivisi (i colti l’avrebbero chiamato storytelling). La conseguenza era ovvia, necessitava un modello di comunicazione basato su un nuovo paradigma. Eccolo: “Più carichi di aspettative i tuoi elettori, più hai la certezza di essere eletto”. La TV? Sarà sempre meno un media politico (Silvio Berlusconi” è stato l’ultimo esemplare di questa tipologia), anzi potrebbe, in prospettiva, addirittura giocare contro. D’altra parte la frammentazione dei “pubblici” porta automaticamente alla frammentazione dei “canali”, come avviene nel digitale e nei social.

Curiose le conseguenze. L’eccessiva “velocità” nella salita al potere si trasforma, poco dopo l’elezione, in un rapido processo di declino. Ricordiamo tutti il caso di Obama: da un altissimo consenso iniziale, in appena 6 anni (e malgrado li abbia passati da Presidente!) si trasformò in un’anatra zoppa. Imbarazzante la sua uscita di scena, dopo la sconvolgente vittoria di Donald Trump. Eppure, salvo il discorso del Cairo, non aveva fatto errori clamorosi, era rimasto un pensoso intellettuale immerso nell’edera harvardiana. Certo, non sapeva nulla del mondo reale, certo si rivelò inetto come uomo di execution, però non più dei suoi colleghi George Bush e Bill Clinton.

Entrò di diritto nel Pantheon dei leader di quest’epoca: eletti senza particolari meriti, dismessi senza particolari demeriti. Come, ieri, Zapatero, Sarkozy, Monti, come poi Cameron, Holland, Renzi, come sarà prossimamente per Macron, Di Maio, Salvini. Il potere supremo è come l’Air Force One, quando scendi dalla scaletta a fine mandato, non la risali mai più, se non in una bara avvolta da una bandiera a stelle e strisce.

E’ la logica conseguenza di quest’epoca, assolutamente coerente con la filosofia del Ceo capitalism imposta dai Ceo al cosiddetto mercato, cioè a tutti noi, chiamata “obsolescenza programmata”. E’ una specie di eugenetica dei prodotti, una strategia, prima di business, poi culturale. In fondo tutti i prodotti di oggi sono scientemente manipolati per facilitarne il logoramento e abbreviarne l’esistenza (vale pure per il “lusso”). Se serve, ci si mette pure la Pubblicità per velocizzare tale curioso processo invertito, in questo caso i colti la definiscono obsolescenza percepita o simbolica. Al contempo bulleggiano sul ruolo del mercato, sul controllo di qualità, sulla correttezza commerciale e altre amenità socio-markettare. E’ evidente come questo loro modello sia incompatibile con quello ambientalista. Per fare Pil dobbiamo consumare sempre di più, quindi abbiamo bisogno di sempre più energia. L’attesa di quella “pulita” che dovrebbe sostituire in toto quella “sporca”, ormai è chiaro, rassomiglia ad aspettare Godot. E allora? Come dicono i colti tout se tient. Staremo mica trasformando il mondo in una sommatoria di tanti gomitoli di filo spinato? Su questa, per ora solo un’intuizione, ci torneremo.

Cosa augurarsi nel breve? Che non si applichi la obsolescenza programmata agli esseri umani, come fecero, in anteprima, Hitler, Stalin, Mao (Xi Jinping è già ben incamminato). Non vorrei che quando il modello in essere non fosse più in grado di garantire un welfare serio a tutti i cittadini (qua si giocherà la partita della vita) si scegliesse la stessa soluzione adottata per i prodotti. Alcuni segnali non sono per nulla tranquillizzanti. Giovani della generazione Z attenti. Tout se tient.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Giordano Alborghetti (Bergamo): lavora in banca, si occupa di software libero
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Franco De Pieri (Treviso): “el casoin”, un sarto del gusto
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Giancarlo Saran (Castelfranco Veneto): medico dentista per scelta, giornalista per vocazione