Da quando è stata proposta qualche anno fa, questa iniziativa ha avuto successo perché cantare insieme piace e sono state migliaia le persone a partecipare. Il modo è semplice ma curatissimo: oltre al direttore, un coro-guida e un pianista aiutano il pubblico a eseguire i brani in scaletta; ogni partecipante riceve le partiture ma non è necessario conoscere le note; la musica scelta è pensata per coinvolgere tutti poiché il progetto, come recita il programma di sala è «per chiunque abbia voglia di aprire la bocca» .
Il direttore Michael Gohl, musicista svizzero specialista internazionale di canto comune, è un grande motivatore, neanche troppo stupito di quanto pubblico riesca a coinvolgere perché dice: «cantare insieme è pura felicità».
Uno studio pubblicato nel 2015 dalla rivista scientifica Royal Society Open Science rileva che il cantare in coro è un’esperienza di condivisione con funzione di coesione sociale perché le persone coinvolte si sentono positivamente legate tra loro; senza contare il valore terapeutico attribuito al canto sin dall’antichità.
Ne vengono in mente tanti, di cori. Oltre a quelli delle grandi orchestre, in ordine sparso: Coro della Cappella Sistina, cori di voci bianche, cori degli Alpini, cori gospel, Piccolo Coro dell’Antoniano, cori sardi, Coro dell’Armata Rossa, cori delle parrocchie, cori da gita scolastica. Cori da stadio, oggi non di rado brutti e razzisti ma “nati bene” senza insulti, se ci rifacciamo al più vecchio coro che si conosca, On the ball City, del Norwich City, 1902; così anche il più famoso, You'll Never Walk Alone, intonato dai tifosi del Liverpool.
E ancora la Haka, resa celebre dal rugby, che è sì una danza ma anche un grido corale di guerra o di gioia.
Si può cantare in coro anche senza cantare, come nel Coro a bocca chiusa della Butterfly (non a caso presente nel programma di MITO) e si canta anche senza voce: Coro Manos Blancas è il progetto partito dal Venezuela per far “cantare” ragazzi sfortunati; un coro di giovani, di cui fanno parte anche portatori di handicap, comprensivo di una sezione di ragazzini sordomuti che accompagnano il canto esprimendosi con movimenti studiati e danzanti delle mani; i guantini bianchi il segno distintivo.