... una mail “personale” della scrittrice e giornalista Daniela Ranieri.
Si riferisce al fatto che un mese fa ho pubblicato sul mio Blog, poi ripreso da diversi quotidiani cartacei e digitali, una recensione del suo ultimo libro: “Stradario aggiornato di tutti i miei baci”. Avevo però confessato ai lettori che avevo letto solo una decina delle 684 pagine del libro, come fanno, senza dirlo, i recensori, i pre-post fattori, i giurati dei premi letterari. Mi ero però ripromesso di leggerlo tutto, come si faceva un’era geologica fa. L’ho fatto:
“Cara Daniela, il fatto di non esserci mai incontrati, non esserci mai parlati, non sapere reciprocamente nulla di noi, mi ha aiutato molto nella lettura del tuo romanzo che ho recensito un mese fa, avendo letto, allora, solo una decina di pagine, come è nascostamente d’uso nel mondo editoriale. Solo un editore-scrittore infame come me ha avuto il coraggio di confessarlo.
Ora l’ho letto tutto (684 pagine). Stante la mia età, la stanchezza dei miei occhi, che tante ne hanno viste, posso dirlo: ne valeva la pena. E’ un goloso minne di Sant’Agata.
Credo che tu abbia scritto non solo un romanzo ma anche un testo di sociologia amorosa del mondo occidentale, quello che Anaïs Nin non era mai riuscita a fare.
Ho subito escluso, pur non avendo alcuna prova, che la donna che si racconta, quella dispensatrice di baci, sia tu. L’ho considerato invece un personaggio letterario che ben rappresenta quest’epoca, per il modo raffinato-feroce in cui la stressa.
“Lei” (non so come altro chiamarla) “ha paura di tutto”, è il prototipo della donna (e dell’uomo) di oggi. Ci sono pagine meravigliose sulla paura, che gli psicanalisti (autentici incompetenti) derubricano in ansia. Il “motociclista semi acculturato” (l’ignorante per eccellenza, che invecchiando diventerà un idiota fatto e finito) è la sintesi degli uomini che via via “Lei” incontra, quelli che “anticipano la mano del carnefice”, per dirla con Michel de Mointagne.
“Lei” ha una curiosa strategia amorosa: distruggere in continuazione il vecchio con il nuovo, perdendoli entrambi, rifiutandosi al contempo di rimanere sola: una Sisifo dell’amore. Questo caravanserraglio amoroso finirà quando “Lei” capirà che l’unica alternativa è scoprire di amare l’altro, senza pretendere la reciprocità. C’è ancora un’opzione: quando ti stufi, prova a innamoranti perdutamente di te stessa, e accontentati. Come fu per John Kennedy e per Gianni Agnelli.
Cosa ci insegna lo Stradario? Che l’aspetto dell’umanità che descrive l’autrice con tanta vivezza, e con sofferta malinconia, è sghembo. Gli uomini che “Lei” incontra sono sghembi, se non trovano subito la App giusta da scaricare per compiere qualsiasi atto, sono persi.
Il grande sconfitto di questo romanzo è l’amore, ridotto a un lampo iniziale che però si fa subito fiammella, superato dagli aspetti burocratici del “lasciarsi”, in modo rapido ma assolutamente politically correct. Ci auto castriamo al punto da non concederci neppure più un’ultima ignobile litigata che faccia emergere il peggio del peggio di noi: l’oscena volgarità del lasciarsi volutamente male, proprio perché ci si è tanto amati.
Il grande assente del libro è invece il sesso, quello vero, semplice, contadino, operaio. Gli uomini che “Lei” cerca disperatamente di amare, sono verniciati, solo flipper colorati, che emettono suoni, lampi luminosi, fuffa tecnologica. Banali algoritmi-robot.
Si salva solo Emanuele, ma “Lui” è rimasto retrò. In quest’epoca, se sei un uomo e vuoi sopravvivere con dignità, sii retrò, tutti ti disprezzeranno, ma tu sarai felice, perché diverso da questa massa di idioti colti pecoroni.”