... essere legato al 5G attraverso nano-chip che ci iniettano, ma per quello dobbiamo chiedere a Bill.
Vediamo cosa c’è di concreto nella possibilità di usare dei network wireless per interagire col nostro cervello, una di quelle Brain-Computer Interface (BCI) di cui ho già parlato spiegando i benefici in medicina (Parkinson, terapie del dolore) e l’avvento dei cyborg. In questo recente studio apparso su Nature Electronics ed intitolato “Registrazione e stimolazione con utilizzo di network wireless su micro-impianti” (qui) vediamo che la difficoltà di impiantare componenti elettronici nei meandri dei nostri complicatissimi circuiti cerebrali porta a provare con il wireless.
Come al solito questi esperimenti si fanno sui topini da laboratorio, poi si procede con calma su altri animali come conigli e scimmie, prima di arrivare al maiale ed infine all’uomo, i due più esseri simili nella scala evolutiva (filo di sarcasmo). Gli USA hanno il 40% del mercato BCI, che cresce a circa il 15% all’anno verso i $4 miliardi verso il 2025, un piatto ricco per molte aziende e ricercatori. Il motivo di questa scommessa è la possibilità di curare malattia neurodegenerative ed aiutare una popolazione sempre più anziana e troppo costosa per esser trattata negli ospedali.
Questa specifica innovazione risolve un problema annoso, quello dell’ingombro dei sensori e stimolatori neurofisiologici da impiantare nella zucca. È impensabile attaccare migliaia di filetti elettronici alla testa di qualcuno, fosse anche per aiutare a ricordare o camminare meglio. Questi nuovi impianti, che i ricercatori han chiamato “neurograni” tanto son piccoli (un granello di sale fino), hanno un link transcutaneo ad 1GHz che poi comunica via etere con un trasmettitore che raccoglie tutti i segnali e li scambia con il computer. Utilizzando solo 30 microwatt, questi granelli non cuociono il cervello del topino, ma non sappiamo di altri fastidi visto che il roditore non è molto loquace.
Inserendo 48 neurograni nel cervello del topino, i ricercatori hanno raccolto quasi 212 byte di dati in tre secondi, sufficienti per illustrare in dettaglio cosa passava per la corteccia della cavia. Questo esperimento ha anche consentito di modellare l’utilizzo di quasi 800 neurograni, e quindi la capacità di controllare molto meglio il cervello del topo. Teniamo conto che il nostro cervello processa oltre 30GB di dati al giorno, quindi di sale in zucca ne dobbiamo metter tanto. Peraltro, non è una novità.