Il silenzio è merce rara, sconveniente, perché l’uomo moderno vive, preferibilmente, in mezzo al frastuono, in un ambiente dominato dall’esposizione mediatica che ragiona in termini di gradimento anche nelle relazioni interpersonali. Siamo condannati a vivere in un mondo fracassone. Attestati alla superficie delle cose, non ci decidiamo ad abbandonare il terreno dell’inutile. Le parole ingannano, costituendo un diaframma opaco, insuperabile; hanno preso il sopravvento, hanno catturato tutta l’attenzione, diventando superflue. La loro abbondanza esagerata diventa controproducente, guasta, deforma e ne corrompe la qualità. Ogni eccesso di parole è negativo, ne fa perdere la credibilità, ne spegne la forza e l’efficacia. Le parole, ormai, sono stanche, sfibrate, suoni flebili, tanto più deboli quanto più rumorosi e insignificanti. Il Silenzio non è disprezzo della parola ma rifiuto della parola anonima, irresponsabile, impersonale, superficiale, meccanica. Il silenzio dice amore per la parola originaria, viva, feconda, nuova, sorprendente. Il silenzio è la virtù che dà rilievo alla parola, il luogo in cui essa viene generata. Il silenzio e la parola sono parti inseparabili di una vera comunicazione. All’interno del dialogo il fatto di tacere è altrettanto significativo quanto quello di parlare. Come il silenzio si oppone al mutismo, così la parola si oppone a tutte le forme di eccesso che impediscono il dialogo. “La comunicazione è autentica quando nasce dal silenzio e sa rispettare il silenzio, il mistero inesprimibile che ci costituisce”. (P.H. Kolvenbach) Senza silenzio non c’è ascolto, e senza ascolto non c’è dialogo ma una serie di monologhi che rendono impossibili i rapporti interpersonali. Durante i talk show televisivi o le tribune politiche, incontriamo solo chiasso e confusione. Nello svolgersi del dibattito i partecipanti si ritrovano a parlare tutti insieme, magari anche alzando la voce per sovrastare gli altri, trasformando il dialogo in un rumore irritante, che spinge a cambiare canale, che costringe il presentatore a zittire tutti per evitare un crollo dell’audience. Nel dialogo è necessario il silenzio, un silenzio attivo, in cui entrano in gioco l’udito per ascoltare e capire e la vista per dare attenzione, senza pensare a quello che si vuol dire dopo. Nelle discussioni tutti invocano il diritto ad avere l’ultima parola o parolaccia. Nessuno mai rivendica il diritto ad avere l’ultimo silenzio. Romano Guardini ha scritto: “Chi non sa tacere fa della propria vita ciò che farebbe uno che pretendesse solo espirare e non inspirare”. Pensiamo al dialogo come a una alternanza tra ascolto e parola, funzioni vitali per intessere rapporti interpersonali arricchenti e significativi. La capacità di ascolto è la caratteristica di un buon comunicatore perché gli consente di capire meglio l’interlocutore, di interpretare quanto sta accadendo, di mettere insieme i dati che deve avere prima di attivare la comunicazione. Oggi molti sentono la necessità di riempire le rare pause silenziose della giornata soffocandole con la musica, la televisione accesa, il chattare compulsivo, gli auricolari, perché il silenzio fa paura, obbliga a fare conti inquietanti con sé stessi. “Non siamo capaci di stare in silenzio e quindi di sentirci vuoti, deboli, alla ricerca di qualcosa che non viene da noi stessi” (Giorgio Basadonna). “… Uno, più fa chiasso, più vuol dire che ha vuoto dentro»”. (David Maria Turoldo) Nella pedagogia di Maria Montessori il silenzio è una chiave decisiva della vita. Speriamo che il silenzio non diventi leggenda, che il rumore non distragga l’umanità dall’essenza della Vita, dalla contemplazione e dalla meditazione. “Il silenzio è il linguaggio dello spirito”. (proverbio cinese)