Il nostro apprendimento, specie in età prescolare, è basato sull’esperienza e sullo sviluppo della capacità di capire similitudini ed esperienze degli altri. Quando imparo che metter la mano sul fuoco brucia, non devo rimetterla anche nel forno per capire che pure lì fa male. Anche nelle relazioni sociali, quando il bimbo apprende che un comportamento viene premiato ed un altro punito, riesce a generalizzare questa comprensione a tutti gli altri casi simili. Una volta a scuola imparerà di similitudini e metafore, ed a quel punto riuscirà a comunicare correttamente con ogni essere umano.
Il robot al contrario non ha queste capacità: mentre può tranquillamente imparare chimica organica assorbendo testi universitari in pochi secondi, non riesce a guidare un’automobile come fa un qualsiasi neopatentato, perché non lo facciamo riflettere sulle sue esperienze e sul come generalizzarle. Anche in un gioco come GO, dove il robot è imbattibile sulla scacchiera tradizionale 21x21, se solo la limitassimo a 20x20 perderebbe sempre, e dovrebbe iniziare a re-imparare da zero. Il bimbo non riconosce un cane ragionando: “se il numero di zampe è quattro, e ha la coda, ed è più grande di un gatto, allora è un cane”. Se anche vede un boxer a tre zampe, e senza coda, riconosce subito l’animale senza esitazioni, mentre il robot deve tornare dal programmatore.
Dobbiamo quindi fare in modo di sviluppare alcune capacità oggi assenti nella macchina: causalità, costi-benefici, classi rispetto ad esempi (ossia i cani rispetto al singolo boxer), inferenza e metafore, che consentono di generalizzare il pensiero astratto. Un metodo che sta prendendo piede, sia a Stanford sia a Londra, è quello di adottare un robot come fosse un bambino e farlo crescere, facendo esperienze di vita domestica, con famigliari, estranei, a scuola.
Vi sentireste di prendere un Pinocchio elettronico in casa, cui dovete fare da grillo parlante, mastro Geppetto, e guardare con apprensione quando finisce nelle mani del Gatto e la Volpe? Pinocchio rappresenta il percorso di crescita della persona, alla conquista della sua umanità, e durante lo sviluppo apprendere nozioni di morale, e come comportarsi al mondo. In questo istante nei due laboratori universitari citati hanno costruito delle cucine e delle stanze, dove iniziare a muovere i primi passi: telecamere e sensori controllano ogni progresso del robot, per vedere se e come impara sotto la supervisione dei ricercatori. Siamo ancora alla fase dove occorre assicurarsi che la macchina non faccia danni e non rappresenti un pericolo per le persone coinvolte; quindi, ci vorrà ancora qualche mese prima che l’esperimento si sposti in una vera famiglia.
La famiglia adottiva non dovrebbe ovviamente pagare il robot, e nemmeno la bolletta elettrica necessaria per tenerlo in vita, solo provare a crescerlo come farebbero con un figlio adottivo. Lo fareste?