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Generi e sessualità nelle "Baccanti" di Euripide

Messe in scena probabilmente alle Grandi Dionisie del 405 a.C., le Baccanti sono la più tarda tragedia euripidea giuntaci.

In apertura della trattazione risultano necessari cenni, seppur sommari, alla trama. La vicenda ruota attorno al rapporto tra Penteo, giovane e arrogante re di Tebe, e Dioniso, giunto nella stessa Tebe, terra d’origine della madre Semele, sotto le spoglie di uno Straniero, per essere riconosciuto come dio.

In una città presa d’assalto dall’invasamento delle baccanti, seguaci di Dioniso, Penteo, infatti, si ostina a negare lo statuto divino dello stesso. Tradito dalla propria morbosa curiosità di assistere ai riti bacchici, proibiti ai non iniziati, Penteo, travestito da mendate, per punizione, sarà condannato da Dioniso a essere sbranato dalle stesse invasate, capeggiate dalla madre del re.

La conflittualità tra Penteo e Dioniso si presta a numerose interpretazioni dal punto di vista religioso, ma anche gnoseologico, esistenziale e, infine, persino sessuale. Giuseppe Burgio, nel saggio Genealogie della maschilità, dimostra come l’opposizione del re al dio celi una forte tensione erotica, a sua volta conseguenza di profondi irrisolti identitari propri di Penteo.

Il re di Tebe si dimostra fin da subito attratto dal dio, presentato attraverso l’elemento caratterizzante del katapygon (omosessuale adulto), ovvero la chioma lunga. Essa, spiega Burgio, è indizio di sottomissione, debolezza e passività. La chioma di Dioniso, eversiva poiché legata alla femminilità, seduce Penteo e allo stesso tempo ne risveglia il maschile istinto di dominio (si ricordi che per i greci il rapporto tra maschile e femminile è interpretabile solo come dominio del primo sul secondo). Nel tentativo di piegare la componente femminile del dio, Penteo prova a reprimere anche la propria di femminilità, verso la quale il re nutre una profonda e drammatica ambivalenza.

Al rapporto con la sessualità di Dioniso si intreccia quello con un altro tipo di femminilità, quella delle baccanti. Esse, a detta di Burgio, sono rappresentazione di un femminile autonomo, capace di imporsi e di determinarsi da sé, capace persino di sottomettere il maschile. Il carattere alternativo della femminilità delle baccanti è tradotto simbolicamente attraverso il ricorso all’immagine delle cagne. La morbosità con la quale Penteo desidera spiare le baccanti e l’entusiasmo con il quale si lascia abbigliare da menade rivelano il desiderio del re di comprendere il femminile, di accoglierlo e di lasciarsi accogliere da esso. In altri termini, Penteo, nella propria interiore conflittualità, nega il femminile, percepito come un “altro” da dominare, ma, allo stesso tempo, brama una fusione identitaria con esso. Alla luce di tali considerazioni, anche la tensione erotica per Dioniso acquista una nuova sfumatura: essa non è solo manifestazione di pulsioni omosessuali, un’omosessualità che, per quanto socialmente e culturalmente riconosciuta dai greci, rappresenta, tuttavia, solo il primo stadio del percorso di maturazione della maschilità, culminante, in età adulta, con il matrimonio eterosessuale. Il desiderio per Dioniso è anche e soprattutto tensione imitativa di un modello sessuale e di genere, quello del maschile contaminato, dell’adultità eversiva. Dioniso, dio che pervade le donne, è, nella propria multiformità, compresenza totale di maschio e femmina.

La morte di Penteo, conclusione della tragedia, è, dunque, non solo simbolo del fallimento comunicativo tra l’uomo e il dio, ma anche specchio di una disintegrazione identitaria e sessuale. Penteo muore perché non sa farsi simile a Dioniso nella ricomposizione della propria identità irrisolta. Penteo muore perché perde il controllo, perché incapace di gestirsi, di dominare i propri desideri, di trascendere e integrare la polarità tra maschile e femminile.


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