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La vera disoccupazione in America

Ad ascoltare il Presidente e media cortigiani, sembrerebbe che la disoccupazione in America sia molto bassa, al 3.9%. È l’indicatore che ci propinano ogni mese, quando dicono quanti posti di lavoro sono stati aggiunti nel mese precedente, ad esempio 175.000 ad aprile, ed ogni volta sentiamo lo slogan che ci sono più offerte di lavoro che lavoratori disponibili. Sprizziamo di ottimismo.

A guardar bene, importante la presenza di un altro indicatore, quello dei senza lavoro, che invece è al 7.1%, al massimo da tre anni a questa parte. Con questa percentuale siamo nella situazione contraria, ci sono solo 0.7 posti di lavoro disponibili per ogni lavoratore, e sale il pessimismo. In un tourbillon di indicatori, dalla partecipazione alla forza lavoro, alla disoccupazione, ai senza lavoro, ai sottoimpiegati (qui se volete approfondire) i candidati alle presidenziali tirano l’acqua al loro mulino: l’economia va benissimo, l’economia è un disastro epocale. Chi ha un lavoro decente non fa molta attenzione, chi non arriva a fine mese si spaventa. Se pensate che metà degli Americani ha solo $500 in banca, capite l’importanza di questo argomento per le prossime elezioni.

La realtà è che molte aziende licenziano e portano lavori ben pagati in paesi a basso costo di manodopera: si va dai $3 al giorno per bravi sviluppatori SW in regioni sperdute del Pakistan, a tanti altri casi di lavori di concetto che possono essere fatti ad un decimo fuori confine. Il lavoro da remoto non aiuta in questo frangente, perché molti rapporti personali sono diventati laschi negli ultimi tre anni, e con essi son diminuite le remore di trovare alternative dall’altra parte di internet.

Un altro fattore difficile da controllare è il doppio lavoro, che nel caso dei giovani nel settore digitale si stima vicino al 40%: se il secondo o terzo lavoro significano poche ore per guadagnare, ecco che abbiamo comunque dei sottoimpiegati. Hanno si uno o due mestieri, ma arrivare a fine mese può essere una sfida. A questi si aggiungono gli undici milioni di immigrati illegali, che deprimono i salari nel resto dell’economia. Su circa 300.000 trovati a lavorare nei campi per $15 al giorno, mentre i regolari ne guadagnano $21 all’ora, l’effetto di diminuzione delle paghe è importante. È questo il motivo del continuo litigio tra Democratici e Repubblicani sull’immigrazione: in generale, ed in particolare nel caso degli illegali, abbattono le paghe.

Infine, c’è il problema demografico: stanno per andare in pensione i Gen X, molto più numerosi delle generazioni successive, ma tra inflazione, spese mediche allucinanti, ed aiuto ai figli con le esorbitanti spese universitarie, sono costretti a rimanere al lavoro ancora a lungo. Undici milioni di lavoratori hanno più di 65 anni, ed ovviamente sono disposti a part-time e lavori meno pagati, ma l’effetto che questo produce è quello di bloccare la crescita dei più giovani.

Mancano ancora sei mesi alle presidenziali, ma non si vedono all’orizzonte cambiamenti che possano risollevare in modo importante la capacità di risparmio di metà degli elettori. L’inflazione continua ad aumentare il costo della vita, e gli indicatori su occupazione e disoccupazione dipingono un quadro fosco. Nonostante i mille miliardi investiti in realtà produttive in America, grazie specialmente agli incentivi di Biden, i continui licenziamenti da parte di aziende che vanno già benissimo, solo per andar ancor meglio in borsa, spengono l’ottimismo. Che sia ora di chiudere le frontiere e l’emigrazione di fabbriche ed uffici?

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