Notizia dagli USA


Jill e le scuole americane

Jill Biden, la nostra First Lady, è un insegnante appassionata e fin da subito ha fatto dell’educazione il suo cavallo di battaglia: migliorare le scuole americane. Con una spesa totale di mille e trecento miliardi di dollari, di cui mille da stati e comuni, siamo il paese che spende più di tutti, il 7.3% del nostro PIL.

Ed esattamente come sanità ed infrastrutture, la spesa non è affatto correlata ai risultati: i nostri studenti mediamente sono asinelli. Ed al danno si aggiunge la beffa: i laureati americani hanno un debito di mille e cinquecento miliardi di dollari, asinelli indebitati.

Dietro a questi numeri di massima ed al giudizio medio, si nascondono aspetti interessanti. Innanzitutto, la ripartizione tra pubblico e privato: 87% degli studenti frequenta le scuole pubbliche, 10% quelle private e 3% studia da casa. Per noi italiani questa dello studiare a casa coi genitori sembra una cosa strana, ma è la modalità preferita da chi abiti in zone remote o sia ricco: basta rispettare il curriculum stabilito dallo stato, e poi tra genitori o tutori privati puoi fare quello che vuoi. Non si ha notizia di studenti casalinghi che abbiano problemi con gli esami di fine anno. C’è un’altra motivazione dietro a questa scelta: eviti di pagare le tasse scolastiche.

Quando avete letto 87% di frequenza della scuola pubblica, avete sicuramente pensato a quella che conoscete, dove tutti gli studenti di elementari, medie, licei ed istituti tecnici studiano gli stessi programmi, in qualsiasi città d’Italia. Qui non è così: oltre al curriculum che per grandi linee è definito dallo stato, il budget della scuola pubblica deriva dalle tasse sugli immobili applicata da questa o quella città. Ecco, quindi, che se abiti in una zona ricca, e di conseguenza paghi tasse elevate, avrai una scuola pubblica che può dotarsi delle attrezzature più all’avanguardia e degli insegnanti migliori. Un insegnante di scuola superiore nei dintorni di Boston può prendere $45.000 di stipendio, oppure $65.000, a seconda della zona in cui lavorano, più o meno ricca. Ovvio che qualsiasi insegnante possa ambire al primo stipendio, mentre la concorrenza per il secondo è feroce. Ne consegue che, se non hai i mezzi per mandare il pupo in una scuola pubblica buona, e sicuramente non ce la fai con quella privata, ti conviene tenerlo a casa.

Generazioni di politici hanno provato invano a migliorare la cosa, da un lato provando a creare un curriculum uguale per tutti in America, dall’altro introducendo test standardizzati per far emergere i bravi dal gregge di asinelli. Una missione impossibile: se dalla più tenera età, in base a quanto son ricchi mamma e papà, ti trovi in contesti diametralmente opposti, non hai speranza di uguaglianza. Avere un insegnante ogni 15 studenti è molto meglio che averne uno ogni 40, specie se il primo ha esperienza ed è molto bravo mentre il secondo è alle prime armi.

Prestando attenzione ai numeri, vediamo che la media dell’asinello non è corretta: ci son milioni di casi disperati, che non sanno riconoscere gli stati su un mappamondo, non fanno di conto e non sanno scrivere nemmeno alla fine delle superiori. Il loro futuro è segnato, tra burger e spostar scatoloni per la grande distribuzione, o nel peggiore dei casi riempire le nostre popolose carceri. Allo stesso tempo ci son centinaia di migliaia di studenti bravissimi, che spaziano dall’analisi matematica, al latino, all’informatica a livelli da laurea di primo livello.

Ecco a voi l’effetto dell’approccio di mercato all’educazione. Non è vero che tiri fuori degli asinelli, ma è vero che produci una massa enorme di ragazzi che non hanno possibilità di crescita, nessuno sogno americano per loro: unica occasione di riscatto nelle forze armate o in enti governativi, dove la carriera resterà minima. Ed è anche vero che produci una buona quantità di ragazzi svegli e preparati, i futuri leader del paese, se non del mondo. Gli USA continuano ad attrarre più emigrati di tutti gli altri paesi del mondo, da un lato i disperati dal confine col Messico, dall’altro professionisti ed accademici che vogliono dare un futuro migliore ai propri figli: ci riusciranno, basta pagare.


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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Alessandro Cesare Frontoni (Piacenza): 20something years-old, aspirante poeta, in fuga da una realtà troppo spesso pop
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite