Ha sparato un paio di foto, parlato con il suo Boss, consultato l’iPad. Scoperta la data di nascita del frigo, disgustato, è esploso: “Ma ha oltre trent’anni!”. Di colpo diviene gelido, io cesso di essere un cliente, torno a essere un vecchio idiota. La sua sentenza è definitiva: “Non è riparabile, lo sostituisca subito con uno moderno, sfruttando la “scia scontistica” (sic!) del Black Friday. Poi, per vendermene uno nuovo, si incarta in un bla bla con incomprensibili terminologie da depliant (deve aver fatto da poco un corso di marketing a slogan).
A sua insaputa, il giovanotto era capitato nella cucina sbagliata. Non sapeva che quando quel frigorifero era stato progettato, oltre quarant’anni fa, non era ancora dominante l’oscena “obsolescenza pianificata”. E lui, nella sua ignorante arroganza, non sa neppure oggi cosa sia.
Il concetto di obsolescenza pianificata (un termine comunistoide per indicare in realtà un comportamento capitalistico criminale) ha sempre fatto parte del mio bagaglio culturale. La giudicai subito una furbata in termini di fatturato, quindi di PIL, ma soprattutto una sconcia aberrazione in termini etico-strategici del rapporto con il cliente. Altro che mercato, altro che concorrenza, questa era truffa di sistema verso i clienti, resi gonzi da una falsa comunicazione pseudo tecnologica.
Di cosa si tratta? In sede di sviluppo e progettazione si fanno, volutamente, scelte tecniche che portano a carenze strutturali dei prodotti, tali da accorciarne la vita e renderne sconveniente la riparazione. Poi si lavora, in termini di marketing e di comunicazione, si investe sugli Influencer (ormai ridotti a corrotti sacerdoti di regime) che cercano di instillare, nei giovani drogati dal web, il concetto di “obsolescenza percepita”.
E’ evidente la motivazione di questa sconcezza. L’elevata durabilità dei prodotti, una loro seconda vita, se manutenuti correttamente, minerebbe alla radice il ritmo di ciclicità dei consumi. I produttori cercano quindi di annullare il rischio di caduta dei fatturati, ergo dei profitti, ergo dei bonus ai CEO, grazie alla obsolescenza pianificata. Vi chiederete perché, sia i tecnici, sia i dipendenti, a conoscenza di questo losco giochino, tacciano? Ovvio, anche gli operai, anche i sindacalisti, anche i manager di medio livello devono difendere il loro posto di lavoro. E tacciono pure gli pseudo ecologisti, che conoscono perfettamente le controindicazioni dell’obsolescenza pianificata: lo spreco di risorse minerarie ed energetiche, inquinamenti di ogni tipo, un consumo abnorme di suolo, e a fine ciclo molteplici problemi legati a tutte le varianti possibili dell’inquinamento. Questo è il CEO capitalism, bellezza! Una banale associazione a delinquere di individui che campano alle spalle dei gonzi.
Come è finita la storia del mio vecchio frigorifero che produceva brina? E’ tornato pimpante come non mai!
Liquidato il “giovanotto con l’iPad” (una versione “woke” della Ragazza con l’orecchino di perla di Jan Vermeer) chiamo “G”, un tecnico suggeritomi da un amico. E’ un ultra cinquantenne lavoratore autonomo, che ha scelto tanti anni fa di riparare quei prodotti che le Case dicevano di non riparare, perché non era conveniente farlo: oggi ha un’aziendina con tre dipendenti. Arriva con una borsa che mi ricorda quella dei medici condotti anni Cinquanta. Chiede un phon per togliere la brina, elimina la ruggine dalla ferita, la pulisce con estrema cura, mette un perno e una rondella bloccando così il tubicino metallico. Sono passati dieci minuti, lo riaccende, funziona! Mi chiede il codice fiscale e la mail per inviarmi la fattura di 40 €. Pago 50, gli regalo un mio libro, gli chiedo di telefonarmi quando l’avrà finito per commentarlo insieme al bar di Nadia. Una persona perbene di un mondo che è stato perbene.
Provo tristezza, tanta, per l’inconsapevole “giovanotto con l’iPad”. Mi chiedo: in un contesto così osceno che vita avrà? Manterrà l’arroganza sul nulla che gli stanno instillando? In un mondo così ignobile, di mistica cancel&woke, i miei nipoti che vita avranno?