Vita d'artista


Dipingere è una preghiera

“Per me la pittura o è religiosa, o non esiste. Prendiamo Cezanne: dipinge mele, alberi e basta. Ma in modo assolutamente sublime. Se si ammira profondamente la natura non si può non essere religiosi. Dipingere quello che vediamo è un modo di avvicinarsi al divino”.

Balthus, 1999.

In mezzo alle stradine intorno all’Università Cattolica a Milano, dietro a Sant’Ambrogio, c’è una bella libreria, la Libet, altrimenti detta del Riacquisto, in cui si trovano tanti ottimi vecchi cataloghi e libri d’arte. Di recente mi è capitato tra le mani un libro di lettere ed interviste a Balthus, un grande tra i disobbedienti della storia dell’arte.

Balthus con le sue opere tese, radicalmente libere, mette in scena nelle sue opere attimi di interiorità vissuta, in cui sui muovono giovani figure femminili come fossero delle apparizioni. Da alcuni giudicate delle ninfette, sicuramente manifestano un sentimento languido, anche se Balthus dichiara di vederle come degli angeli, con le pose di abbandono tipiche dell’infanzia.

Certamente una pittura priva di sensualità, a suo dire è disincarnata, morta. Gli do ragione. La pittura ti deve avvolgere da un’aura sensuale e al contempo spirituale, deve mescolare i piani. In alcuni casi, soprattutto in alcune opere giovanili, penso in particolare a “La lezione di chitarra” ( 1934),  pur attingendo a uno dei classici temi della lezione di musica (pensiamo alle infinite tele riempite di ragazze sedute al pianoforte, intente a studiare uno spartito) Balthus ribalta l’approccio e quella lezione diventa una lezione di sesso, anzi di un erotismo malato, incapace di tenerezza.

Aleggia infatti in quel periodo una forte tensione nelle sue opere, un malessere strano, una sorta di rivolta: ciò che guardi si ribella al tuo sguardo, con ferocia. Questo teatro della crudeltà culmina con “La vittima” ( 1939) in cui una ragazzina stesa sul lenzuolo, è appena stata uccisa da un assassino invisibile: non ci sono segni dell’avvenimento, ciò che Balthus vuole fare emergere non è la violenza, ma il suo mistero.

I lavori successivi sono meno drammatici, più vicini a Piero della Francesca, di cui ha studiato ogni singolo dettaglio. Ne “I bei giorni” indubbiamente più classico, rimane protagonista la figura femminile: un corpo di ninfa già incline alla seduzione, senza però comprenderla per davvero, una dolcezza inerme che però nasconde una provocazione insidiosa. Balthus dipinge l’infanzia, perché è la stagione di vita che ama di più, forse perché la più densa di misteri. Rileggendo le sue lettere ho pensato che la sua eredità è stata raccolta da due artisti la cui tensione all’interno delle loro opere rimane palese: Paula Rego e John Currin. Senza però la deliziosa meraviglia, il fascino sottile e arcano che permea invece l’opera di Balthus.

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In questo numero hanno scritto:

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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