Pensieri e pensatori in libertà


Francesco, artista di Dio

Ho letto il Francesco d’Assisi per simpatizzanti di poca fede di G.K. Chesterton (TS Edizioni, 2016) e penso che sia un libro profondo e originale. Occorre superare la lettura un po’ ostica dei primi due capitoli, in cui Chesterton – come suo solito – si dilunga in osservazioni metodologiche e, soprattutto, nell’ironia su coloro che studiando soggetti storici religiosi, come san Francesco, fanno prevalere i propri preconcetti sul buon uso della metodologia storica. 

Sono osservazioni simpatiche sulla miseria dello storicismo materialista ottocentesco, ma forse un po’ datate.

Non è affatto datato, invece, il quadro del grande Santo italiano, che emerge nei capitoli successivi attraverso pochi aneddoti scelti e studiati. Nell’ottica di Chesterton, Francesco è l’inizio del nuovo mondo, di un mondo che si è curato dall’inevitabile declino e pervertimento della cultura antica con la dura e austera penitenza del Basso Medioevo, e che ora può aprirsi a un nuovo rapporto con la vita e con la natura. Francesco è insomma Rinascita, se non Rinascimento.

In questo senso, il Francesco di Chesterton è un poeta che descrive il mondo e lo vive come se fosse la prima volta. Il primo poeta italiano – scrive – è l’unico a non conoscere Virgilio e i miti antichi. Un poeta nuovo, all’alba di un mondo nuovo. Solo che questa poesia è anche vita, ed è gesto. Francesco non medita malinconicamente sul mondo o su di sé, va sempre di corsa, prendendo decisioni che cambiano per sempre la storia del mondo con la determinazione e la forza di un guerriero ma con la semplicità e l’apparente facilità di un bambino. L’idea di Chesterton è che molto prima che Nietzsche scrivesse di una vita trasformata in opera d’arte, Francesco trasformava tutto ciò che faceva in gesto poetico. Il bacio del lebbroso, la restituzione dei vestiti, la fuga di Chiara, la visita al Papa da straccione, la predicazione fallita in Spagna ai Musulmani, quella a mani nude al Saladino, la predicazione agli uccelli, le stimmate ricevute sulla Verna, la morte sulla nuda terra: tutto in Francesco diventa gesto eterno in una vita che nessun avventuriero potrà mai pensare di eguagliare.

È una bella visione del Santo, che lo rende interessante per tutti, anche nella nostra epoca. Francesco con la sua povertà è l’inizio di una partecipazione nuova dei cristiani al mondo, in cui voleva che i suoi fratelli minori, i frati, potessero stare ma senza ricatto, come dei pesci così piccoli – dice Chesterton – che possono entrare e uscire dalle reti del mondo, senza rimanerne impigliati. Una visione così affascinante di essere umano che da secoli colpisce cuori e menti che amano dimensioni grandi, da Bonaventura a Dante, da Luigi IX di Francia a Cristoforo Colombo, da Galvani a Pasteur.

Inoltre, sono importanti le note finali, soprattutto per coloro che hanno visto scomparire dei fondatori di realtà cristiane, ma che si applica in molti ambiti. I fondatori non si replicano. Secondo Chesterton, c’è qualcosa della poesia di Francesco che poteva essere sua e solo sua e che nessuno avrebbe potuto replicare. Così, secondo uno dei classici paradossi tanto amati dall’autore inglese, lo seguì di più la Chiesa, che trovò il modo di far continuare l’esperienza francescana andando oltre Francesco che non quei seguaci che ne vollero fare l’iniziatore di un nuovo cristianesimo, liberandosi della Chiesa stessa. Finirono nell’eresia, che “sempre mette in contrasto le forme con lo spirito”, e “fu un’eresia dal respiro corto”. Chesterton riprende al proposito l’immagine iniziale sulla poesia: era bellissimo che Francesco scrivesse poesia senza conoscere Virgilio, ma sarebbe stato giusto o bene che neanche Dante l’avesse conosciuto?

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