Il curatore Damiano Gullì stabilisce un limite temporale di nascita degli artisti della mostra, dal 1960 al 2001, e di incubazione delle opere dal 2020 al 2023, e descrive questo lasso di tempo come “lungo ma brevissimo nel percepito” e “schizofrenico ininterrotto flusso di eventi e informazioni” ma al tempo stesso equilibrata finestra temporale nella quale gli artisti si dimostrano, voilà, in ascolto del mondo. Se però sei nato nel 1959 o nel 2002, sei escluso dalla manche come in Giochi senza frontiere e lo Zeitgeist non si mostra.
I patron dell’operazione sono super-blasonati, l’Honorary board infatti è formato da Francesco Bonami, Suzanne Hudson e Hans Ulrich Obrist, perché probabilmente un'operazione che coinvolge 120 artisti appare talmente debole che ha bisogno di un "rinforzo". Mi spiace per i tanti bravi artisti che hanno accettato una simile ammucchiata, che dimostra la precarietà del nostro sistema artistico, così poco coraggioso, e mi spiace per le gallerie di casa nostra, che si accontentano di così poco. Gallerie che se lottassero un po’ di più riuscirebbero a far conoscere meglio gli artisti italiani nel mondo. E mi spiace per la mancanza di idee che, per non scegliere davvero, ha bisogno di un "metodo anagrafico", invece di pensare e proporre temi forti, importanti. Come si può mettere in equilibrio il lavoro di 120 complessità artistiche, se non sminuendolo?
La scelta di un numero inferiore di artisti, avrebbe significato dover decidere un criterio stringente e soprattutto da che parte stare della storia e avrebbe proposto una visione forse più nitida e cristallina, non "scientifica", certo. Anzi di parte, ma proprio per questo maggiormente rivelatrice. Perché invece di fare queste grossolane mappature non si decide per un tema conduttore forte, come l'odio, la morte o la guerra? Francesca Bonazzoli, dalle pagine del Corriere della Sera, ha ricordato quanto fu contestato Vittorio Sgarbi per una mostra simile, a Palazzo Reale, una quindicina di anni fa. I supponenti avevano scagliato pietre e a ragione, ma almeno Sgarbi aveva avuto il buon gusto di non selezionare gli artisti sulla base della loro età anagrafica, ma di definire un momento storico. Provocatoriamente Bonazzoli si domanda: avrà avuto ragione lui?