PER L’ESTABLISHMENT PUNTARE SU CONTE SARA’ UN RISCHIO FATALE?
Un leader politico di successo e un celebre CEO hanno in comune, molto spesso, lo stesso tipo di leadership, quella che tecnicamente si chiama “paranoia”. C’è uno schema dello studioso, e per me maestro, Manfred Kets de Vries (psicoanalista e docente delle risorse umane all’Insead di Parigi) che la analizza. Costoro, secondo lo scienziato sociale dei Paesi Bassi, hanno una sindrome di ruolo, una specie di alessitimia, cioè un analfabetismo emotivo che si estrinseca nell’incapacità di possedere un ventaglio di parole per esprimere emozioni, sia proprie che altrui. Mentre per noi gente comune è una patologia, per loro è un tratto della personalità.
Quando si parla di leadership non facciamoci trarre in inganno dal ruolo precedente del soggetto, di quando cioè era un cittadino comune. Essere stati venditore di bibite allo stadio, partecipanti a giochi tv, oscuri avvocati, non significa nulla, loro, in un certo momento della vita, per segnali oscuri che a noi sfuggono, sono stati unti. Noi no, tutto qua. Per esempio, noi giornalisti parliamo e scriviamo di tutto, così gli accademici, siamo tutti competenti su tutto, abbiamo un naturale disprezzo (che ben mascheriamo) verso quelli che in pubblico chiamiamo cittadini (in privato popolo bue), ma ci manca il quid, essere unti.
Anzitutto non conosciamo il disturbo alessitimico che Kets de Vries ha trasferito dal mondo della psicologia clinica anni Settanta al mondo dell’organizzazione aziendale o statuale. Quando non sai distinguere e differenziare gli affetti, hai una monotonia costante di idee, hai un impoverimento nell’immaginazione, quindi ti manca la capacità di avvalerti di rappresentazioni simboliche della vita, significa che hai una leadership paranoia. Piaccia o meno, è così, ce lo dice la scienza. E’ curioso come gli establishment siano ricchissimi di personaggi alessitimici non compiuti, cioè che non hanno completato il loro processo evolutivo, limitandosi ad essere portatori di una cultura della mediocrità, dell’intorpidimento, della stagnazione intellettuale, destinati a rifugiarsi nel porto (chiuso) di Twitter, luogo di impotenza per definizione.
Osserviamo, secondo il criterio suddetto, il breve periodo degli accademici Premier al potere, da Romano Prodi in giù, fallimentari in termini di execution politica. In quel periodo oscuro della vita politica italiana sono emerse, dal nulla, tre giovani leadership antiaccademiche: Luigi Di Maio, Matteo Renzi, Matteo Salvini. Questi, per motivazioni sfuggite agli analisti politici, sono stati unti direttamente, seppur in modo diverso, dal fonte battesimale delle urne. Hanno, tutti e tre, messo in crisi l’Establishment, che pur possedendo la quasi totalità della ricchezza del Paese, pur dominando l’Accademia e i Media, pur avendo la copertura internazionale dell’aristocrazia cosmopolita dell’Occidente, alle urne vale il solito, miserabile 10-15%. Da settant’anni di lì non si schiodano, perché quello valgono in termini di intelligenza sociale.
Ora le élite sono in dubbio se puntare o meno su un personaggio, Giuseppe Conte, pure lui emerso dal nulla, peggio non dalle urne ma da una stravagante cooptazione (non tragga in inganno il curriculum kilometrico, lui non sa che il curriculum politico perfetto ha solo quattro parole “Mi chiamo Charles de Gaulle”). Suggerisco gli amici dell’establishment di pensarci bene prima di puntare su Conte. Afferma Kets de Vries che il narcisismo, in quanto disposizione personale caratterizzata da senso di grandezza e di onnipotenza, nonché dalla ricerca di ammirazione, potere, prestigio, costituisce all’inizio un motore che produce notevoli energie emotive, ma poi, spesso, tende a scoppiare come un palloncino ai giardinetti. Kets de Vries individua tre varianti di leadership: “persuasiva”, “coercitiva”, “manipolatoria”. Da una serie di segnali deboli, emersi dall’analisi del suo linguaggio del corpo osservato in pubblico, noi studiosi propendiamo ad associarlo alla terza.
Se l’establishment puntasse su Conte è probabile che Di Maio, Renzi, Salvini trovino una qualche forma di accordo. Uno dal trasformismo selvaggio come lui non possono accettarlo, quindi sarebbe tutti contro uno. In più incombe sul Paese un’atmosfera pesante che potrebbe portare alla saldatura fra Destra e Sinistra. Non credo convenga all’Establishment uno scenario di questo tipo, meglio sfilarsi con eleganza, tanto le leve del potere di indirizzo rimangono nei soliti tabernacoli, difesi quelli attendiamo sereni che passi a nuttata.
IL CASO ERDOGAN-CURDI-EUROPA VISTO DALLA SVIZZERA
Per quel che vale (nulla) la mia posizione sulla vicenda Erdogan-Curdi-Europa l’ho esplicitata (gli abbonati a Zafferano la trovano nel Supplemento). Questo è un breve riassunto-sintesi sul come alcuni giornali e amici svizzeri, di tendenze liberali, l’hanno chiosata.
Tutti considerano la Turchia alla stregua della Cina, dell’Iran, dell’Arabia Saudita, del Qatar: Stati canaglia con pochi o nulli diritti per i sudditi, e quando esistono, in forme elementari, spesso sono calpestati. Una sola differenza, significativa: in Turchia si vota, Recep Erdogan è stato eletto e rieletto (al municipio di Istanbul invece è stato sconfitto, ha brigato per rifarle, è stato di nuovo sconfitto). Negli altri casi al vertice c’è una Guida Suprema, un Re, un Emiro, un Satrapo nazicomunista: tutti si sono auto nominati Sovrani, assoluti e perenni. Questi, nell’esercizio del loro potere, fanno ogni giorno atti ignobili ma noi occidentali li accettiamo, voltandoci dall’altra parte, in nome del business. Esattamente come fa l’Europa di Aquisgrana con Erdogan: libertà di insulti sui giornali ma contratti miliardari con il Satrapo: a) per bloccare i rifugiati nei suoi lager; b) vendergli le armi; c) non espellerlo dalla Nato (anzi, alcuni lo vorrebbero addirittura nell’UE).
Durante la partita Francia Turchia la sceneggiata, ormai codificata in tutti gli stadi dopo un goal, ha avuto una variante: il saluto militare di Calhanoglu e compagni. Tutto l’Occidente ha reagito con sdegno, chiedendo a Uefa sanzioni pesantissime. Un piccolo passo indietro. Tutti i giochi moderni, compreso il calcio (quello fiorentino era altro) sono nati in Inghilterra: se sei ricco e potente, hai le Colonie che ti permettono di vivere senza lavorare, hai molto tempo libero, il sesso e i giochi sono idonei per fartelo passare piacevolmente. Il calcio, come tutti i giochi di squadra, non solo è basato sul concetto liberale di meritocrazia (giocano i più bravi) ma è anche “nazionalista”, per sua intrinseca natura (i più colti aggiungono pure xenofobo e autoritario: pensiamo all’arbitro pre Var). Nello stesso giorno Pep Guardiola e la squadra del Barcellona ne hanno dato dimostrazione, mettendo per scritto, con parole durissime, il loro “saluto militare” contro la Spagna madrilista. I catalani hanno ricordato la vicenda del loro eroe nazionale, Lluis Companys, fuggito in Francia e riconsegnato dai tedeschi del Reich al fascista Francisco Franco che lo fece fucilare. Non hanno perdonato la Spagna, non possono farlo, pena la perdita della loro identità.
Le conclusioni di questo mio riassunto le ha scritte Marcello Pellizzari sull’impeccabile Corriere del Ticino “Giusto sdegnarsi al saluto militare ma prima di chiedere a Uefa sanzioni per i calciatori sarebbe bene indagare sui legami fra il Governo europeo del calcio, i Governi delle democrazie occidentali e la Turchia di Erdogan. Troverebbero un cortocircuito generato da sponsorizzazioni monstre, spesso tramite la compagnia aerea di bandiera, politiche migratorie e grandi manifestazioni sportive. Alla fine viene fuori che i primi a infischiarsene dei diritti umani siamo proprio noi. E che Erdogan è solo l’ennesimo dittatore a cui vendere, fra le altre cose, le partite di pallone”. Altro non sono che la versione civile delle armi da guerra.
Questo modello europeo è marketing in purezza, non ha un’anima, non ha un retroterra culturale, non ha dignità, ci ha fatto diventare, in un quarto di secolo, un gigantesco discount che vende e compra, con totale frenesia, ogni tipo di oggetto-servizio. Ormai, qualsiasi nostro atto deve essere letto secondo il protocollo base del Ceo capitalism: follow the money e scopriremo le losche logiche che lo guidano. Che tristezza.