Tanti sono i modi di intendere il vero, ma in tutte le accezioni – corrispondentiste, consequenzialiste, coerentiste, oliste, deflazioniste ecc. – esso significa sempre qualcosa di diverso dalla pura affermazione di me stesso e dei miei pensieri. Non vorrei soffermarmi qui su queste spiegazioni, interpretazioni e giustificazioni filosofiche, ma sottolineare invece il centro del paradosso di De Lubac: la necessità del coraggio.
Perché ci dovrebbe volere coraggio per una cosa semplice come l’affermazione dello stato dei fatti, delle questioni, delle idee o, persino delle immaginazioni? Il mio solito C.S. Peirce, filosofo e matematico americano, diceva che questa semplicissima operazione dell’affermazione del vero è la forza più potente e presente nel mondo. Per fare un esempio, sottolineava che quando si va ad aprire la finestra per la verità che l’aria viziata in sala è malsana, “uno sforzo fisico viene portato nell’esistenza per l’efficacia di una verità generale che non si vede, non si tocca e non si sente”. Capiamo così che “le idee di giustizia e verità sono, nonostante l’iniquità del mondo, le forze più potenti che lo muovono”.
La forza potente della verità, però, è inefficace senza di noi, ha bisogno del nostro contributo, non agisce da sola. Ha bisogno dell’azione del cuore, il coraggio, e quest’ultimo ha almeno due caratteristiche. La prima, già accennata, è l’uscire da sé, dal proprio giro di convinzioni e pensieri. Solo così, la verità può essere affermata, solo perdendo per un secondo il controllo e l’ossessione di se stessi. In un libro acuto, Il grande divorzio, C.S. Lewis rappresenta questo paradosso attraverso l’arrivo delle anime nell’aldilà. Esse vengono accolte da angeli cattivi che cercano di spaventarle in ogni modo. Quando esse si spaventano e gridano aiuto vengono portate in Paradiso. Quando invece riescono a conservarsi impassibili e si difendono o giustificano, finiscono all’inferno della loro stessa solitudine.
La seconda caratteristica è che per affermare il vero bisogna essere convinti. Senza con-vinzione – l’essere sopraffatti da argomenti e prove – c’è solo un’affermazione formale del vero e, altro paradosso, un’affermazione formale alla fine coincide con il falso. Lo si dice perché lo si deve dire, ma non si è “sopraffatti”, “vinti”. Così si sta sempre ancora affermando solo i propri pensieri e, direbbe Lewis, ci si condanna all’inferno di sé stessi.
Certo, il coraggio, come spiegava Manzoni, se uno non ce l’ha, non se lo può dare. Per questo, la grande colpa di tutti noi quando manchiamo di coraggio non è la paura o la vigliaccheria che ci spinge a non affermare il vero, ma la mancanza di quel minimo di libertà per cui almeno si può gridare aiuto, cercare qualcuno che quel coraggio ce l’abbia. È così che è nato e continua a vivere anche Zafferano.news: con il gusto di trovare amici che abbiano a cuore il vero. Insieme è più facile avere coraggio.