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The Chosen, pregi e difetti di un fenomeno da 450 milioni di spettatori

The Chosen è l’incredibile serie televisiva, dedicata alla vita di Gesù e prodotta dalla comunità evangelica, che ha raggiunto ormai i 450 milioni di spettatori. 

Interamente finanziata da donazioni private, nonostante il costo elevatissimo, è distribuita gratuitamente dalla piattaforma VidAngel in un numero impressionante di lingue diverse. I promotori si sono prefissi la meta delle cento lingue di doppiaggio e delle 500 di sottotitolazione.

L’idea è semplice come quella di certi libri di autori come De Wohl o Dobraczyński ed è la stessa che si trova in altre opere memorabili del genere, come il Vangelo secondo san Matteo di Pier Paolo Pasolini: la storia di Gesù di Nazareth narrata dai Vangeli è una meravigliosa avventura umana, che non ha niente da invidiare alle saghe letterarie più celebri. In più, come si dice al cinema, è basata su una storia vera.

La bellezza dell’opera sta nel tipo di sguardo in cui fa immedesimare. Gesù è qui guardato attraverso gli occhi delle persone che lo incontrano, a partire dai suoi discepoli. Con studio e ambientazione accurata – c’è una consulenza perenne di un teologo protestante, un prete cattolico e un rabbino – l’idea è quella di far capire che il racconto evangelico è accaduto realmente a gente comune di un paese povero e occupato dai romani. Così ricostruiti, i personaggi dei Vangeli assumono caratteristiche normali e si capisce lo scandalo rivoluzionario di un Dio che sceglie come collaboratori ragazzi come tutti, alle volte pieni di difetti e guai, dalle fobie ai debiti. È un’immedesimazione che restituisce il lato umano di tutta la vicenda e fa capire quanto essa fosse inaspettata e, allo stesso tempo, dirompente. Un Gesù molto umano ride, scherza, danza, beve con i suoi amici e, allo stesso tempo, dice le frasi che sono rimaste per sempre nella storia e compie i gesti per cui tutti non possono chiedersi se non sia Dio. A parte gli inevitabili errori teologici che i blog delle varie confessioni cristiane rilevano con eccessiva puntigliosità, è davvero una bella avventura, umana e simpatica, oltre che sempre inquietante nel suo porre l’interrogativo inevitabile su Gesù rispetto al quale, come diceva Kierkegaard, “si deve decidere”.

I difetti della serie, invece, sono legati alla sua radice potentemente evangelica. Insieme al senso dell’incarnazione di cui si è detto, gli evangelici tendono a sottolineare il lato morale della vicenda: Gesù è soprattutto quello che fa nascere di nuovo (“born again”) perché cura dal peccato, spesso identificato con le sue versioni più crasse: sesso e soldi. Qui l’accento è un po’ noioso, per chi pensa che anche nel cristianesimo la grande rivoluzione sia quella del pensiero e la moralità una conseguenza; ed è lontano dal cattolicesimo, che non ha la fobia e l’attrazione per debolezze che trova normali.

In secondo luogo, per la stessa radice, la serie oppone spesso fede e ragione. La fede è un salto oltre e, alle volte contro, la ragione umana. Sebbene di fronte a una persona in carne e ossa come Gesù, credere rimane nella serie una forza estranea alla ragione, un impeto alieno a quello del raziocinio. In questo senso, forse, non sarebbe piaciuto ai grandi teologi cattolici, da san Tommaso a Benedetto XVI, ma è frutto della potente tradizione protestante nata da Calvino.

Infine, è molto interessante il lato sociologico di questa operazione, giunta ormai alla sua terza stagione. Senza rispettare le importanti analisi sulla secolarizzazione che fioccano sempre tra gli intellettuali, la gente continua ad appassionarsi alle vicende del Vangelo, che trova evidentemente affascinanti anche tra un hamburger di McDonald’s e un video di Tik Tok. Forse, occorrerà rivedere un po’ anche le analisi, se si vuole capire che cosa sta succedendo.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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Alessandro Cesare Frontoni (Piacenza): 20something years-old, aspirante poeta, in fuga da una realtà troppo spesso pop