Purtroppo, abbiamo esperienza diretta di una grande debolezza delle classi dirigenti occidentali dal 1989 (almeno) a oggi. Debolezza culturale che ha impedito di arrivare a una Costituzione europea, debolezza di analisi ed execution nella grande crisi cominciata nel 2008, debolezza previsionale nel caso di Brexit e delle elezioni di Trump, debolezza decisionale e comunicativa nel caso della pandemia, debolezza militare nel caso dell’ignominiosa ritirata dall’Afghanistan. Potrei essere più dettagliato ma trovate tutto nel libro Uomini o consumatori?. Ora, secondo le teorie del complotto, che spesso ascolto, una classe dirigente occidentale con tutta questa debolezza sarebbe capace di organizzare nel giro di due anni: a) un esperimento sociale di massa come quello del lockdown; b) una guerra nel bel mezzo dell’Europa per impadronirsi delle materie prime russe; c) stragi di massa di civili per sostenere un sentimento di guerra.
Certo, tutto è possibile. Ma qui sta il cuore del ragionamento complottista: visto che è difficile sapere le cose di prima mano, allora forse è tutto diverso da ciò che si vede nei media, nonostante ci siano esperienze dirette che rendono improbabile la tesi. In questo caso, quella dell’astutissimo complotto internazionale occidentale. La prova delle tesi è che non si può dimostrare assolutamente il contrario, non si può essere totalmente sicuri, anche se ci sono infinità di indizi. Si chiama fallacia ad ignorantiam e la conosceva già la filosofia antica.
Solo che così si instaura quello che si chiama un “dubbio radicale” e sistematico sulla realtà che ha diversi difetti logici e pratici. Il più grosso dei difetti è che se tutto è diverso da ciò che si vede, perde di senso anche il dubitare o il cercare di cambiare qualcosa. Dal punto di vista logico, il dubbio nasce perché ci sono certezze che vengono scalzate da fatti. Se tutto è in dubbio, non ci sono più fatti che mi possano convincere in un senso o in un altro. Tutto è uguale a tutto e ci sono solo interpretazioni, come diceva Nietzsche (“non ci sono più fatti ma solo interpretazioni”). Alla fine, cerco solo le interpretazioni che sono più confacenti ai miei sentimenti sociali e politici.
La conseguenza pratica è che, visto che con i dubbi radicali non c’è più niente che si può fare o cambiare, tutto rimane tale e quale. Perché impegnarsi a capire, se tanto le motivazioni storiche sono tutte equivalenti, ed equivalentemente faziose, e le responsabilità tutte uguali? Perché impegnarsi in una politica piuttosto che in un’altra, se i giochi si fanno a livelli così segreti che nessuno sa dove si trovino? Perché, nel caso della guerra in Ucraina, aver pietà delle persone, se forse sono manichini? Perché, viceversa, indignarsi con chi manipola le notizie di stragi, se sono tutte manipolate? Perché accogliere i rifugiati, se in realtà sono anche loro colpevoli (almeno di aver votato quelli che hanno causato la guerra)?
Il dubitante radicale alla fine non si può mai impegnare in nulla perché forse tutto è menzogna, come diceva Agostino nel suo bellissimo dialogo Contra academicos. Invece, i dubbi sono tutti legittimi solo quando si hanno delle certezze. Forse se tutti cominciassero a chiarire e a dichiarare le proprie, diventerebbe più facile anche comunicare e agire.