Educare e insegnare non è un lavoro comune, un mestiere qualunque. Non tutti possono far fronte adeguatamente alla sfida altissima che pone questo ruolo. Non bastano più le sole competenze disciplinari e la preparazione tecnica. Non è assolutamente sufficiente istruire ma serve educare. L’emergenza educativa deriva dalla crisi dei valori e delle identità, acuita dal trionfo del relativismo più spinto secondo il quale tutto è lecito, possibile e ammesso. Non è più sostenibile la figura di chi educa con approssimazione, con disincanto e distacco.
Ad essere sinceri la funzione dell’educatore è oggi un compito fortemente in crisi e lo è nella misura in cui è il ruolo degli adulti a essere in crisi nei confronti dei minori. In una società dove i valori sono sovvertiti, dove la conoscenza è incapace di attingere una realtà oggettiva e assoluta, anche i ruoli spesso sono traditi, svuotati, scambiati. Il nostro è un mondo in cui gli adulti vivono, dal punto di vista educativo, il disimpegno, la rinuncia, il compromesso, lo scambio. Essere “maestri” è un ruolo in cerca di identità. Ai genitori, agli insegnanti piace di più “fare gli amici”, una modalità di relazione pseudo-educativa ormai in voga da molto tempo, un rapporto generato da una visione equivoca e distorta della vita familiare e scolastica, secondo cui fare l’amico/a del figlio, dello scolaro, è moderno, friendly, trendy, frutto cioè di un sofisticato costrutto psicopedagogico. I figli, gli allievi, nella loro crescita, non vogliono genitori e docenti per amici e compagni.
Tra pari si innesca la complicità, il conforto, il cameratismo ma per crescere occorre altro. La crescita, un processo e un territorio di conquista, non hanno luogo se mancano modelli generazionali con cui confrontarsi e a volte anche scontrarsi. Per il minore, l’adulto, da una parte è un modello che, nella misura in cui sa infondere sicurezza e protezione, rasserena, dall’altra rappresenta l’immagine da criticare, mettere in discussione, da ridimensionare per poter conquistare il proprio spazio esistenziale. L’educazione non è un “processo di lattificazione” (Frantz Fanon), una manipolazione della coscienza e dei più profondi aspetti psichici del soggetto per favorire e sostenere il “sistema” ma un’appassionata risposta al "bisogno di significato".
Colui che ha scoperto il senso della vita "ha un perché per vivere, poiché, "la vita umana ha sempre, in tutte le circostanze, un significato, che […] comprende anche sofferenze, morte, miseria e malattie mortali" (V. Frankl). Il figlio/l’allievo ricerca, oltre le nozioni, le tecniche e la conoscenza dei particolari connessi a situazioni contingenti, significati e valori universali, che orientino l’esistenza, che consentano decisioni libere e responsabili e non arbitrarie. Confondere l’educazione con l’informazione o l’istruzione è reprimere e soffocare la coscienza in modo sistematico e metodico, favorendo conformismo e totalitarismi. Non è più il tempo per una scuola obbediente a copioni stereotipi, a disegni di vertice dove gli interessi di parte colorano le discipline, livellano gli spiriti e orientano il gregge.
Di conseguenza, se l'educazione non assumerà un funzione centrale nella famiglia e nella scuola non sarà possibile aiutare figli/alunni, a scoprire, nel marasma di valori falsi "generalizzati in modo eccessivo dalla società", il senso della vita e a difendersi dal "vuoto esistenziale". Ci possono salvare solo educatori convinti testimoni che oltre e al di là di tutto sta la Luce.