La “piccola Antigone” di Anouilh
La vicenda di Antigone, “man mano che si presta a incarnare nuove istanze di rinnovamento, di lotta e di ribellione” (nota 1) , conosce numerose rivisitazioni nella storia del teatro moderno e contemporaneo.
La vicenda di Antigone, “man mano che si presta a incarnare nuove istanze di rinnovamento, di lotta e di ribellione” (nota 1) , conosce numerose rivisitazioni nella storia del teatro moderno e contemporaneo.
L’amara presa di coscienza della miseria e della nullità della condizione umana, riflessione etico-esistenziale caratteristica della produzione di Sofocle (Atene, V a.C.), è uno dei nuclei tematici al centro della vicenda di Antigone, protagonista dell’omonima tragedia.
Un ritratto innovativo di Astianatte, nipote del re Priamo, è offerto dalle Troiane di Seneca (Corduba, 4 a.C.- Roma, 65 d.C.), evidente ripresa, pur con chiare differenziazioni drammaturgiche, dell’omonimo dramma euripideo. Come già il tragediografo greco, anche Seneca, dipingendo le conseguenze della Guerra di Troia, materiale mitologico per riflessioni potenzialmente atemporali, si sofferma sulla dimensione della sofferenza dei vinti civili, prestando, tuttavia, maggiore attenzione proprio al capitolare insensato delle figure dei più giovani.
Messe in scena per la prima volta durante la Guerra del Peloponneso, le Troiane (415 a.C.), capolavoro del celeberrimo tragediografo greco Euripide, rappresentano uno strumento utile all’individuazione di uno dei modi in cui la letteratura greca, nella propria natura variegata, legge, traduce e interpreta il problema dei conflitti bellici.
“Ho scritto questo dramma contro la mia volontà: lavorandoci, sono stato più volte al punto di gettarlo via e l’ho messo da parte, ma è ritornato, m’ha perseguitato. Ho ugualmente sofferto nel vederlo recitare, soffro tutte le sere, e però non arrivo a pentirmi di averlo scritto, non vorrei non averlo fatto.”
Con queste parole, indirizzate al fratello Axel, lo svedese August Strindberg (1849-1912), uno degli storici nomi del panorama del dramma borghese, commenta la gestazione e la prima rappresentazione de Il pellicano (1907).
“Là si dice che noi attori siamo persone fortunate; perché nell’intero mondo smisurato il destino ci ha concesso alcune centinaia di metri cubi: il nostro teatro, in cui possiamo crearci la nostra vita artistica, speciale, magnifica, che trascorre per la maggior parte in un’atmosfera creativa, nei sogni e nella loro realizzazione scenica, nel lavoro artistico collettivo, in comunione costante con il genio di Shakespeare, Puskin, Gogol’, Molière e altri. Non basta questo a farne un meraviglioso angolo di mondo?” (“Etica”, I)
Ho pensato a lungo a come aprire questa rubrica teatrale alla quale sono stata, con mio sommo piacere e innegabile entusiasmo, recentemente assegnata. Ho riflettuto bene su quali parole usare per presentarmi al mio nuovo pubblico e, soprattutto, a cosa raccontare.
Decido, dunque, di inaugurare il mio piccolo spazio di riflessione sotto il segno di un progetto che ho molto a cuore e che, come tutto ciò che è inatteso, ha saputo donarmi la piacevolezza e la curiosità dell’imprevedibile.