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Intelligenza Artificiale in Neurochirurgia

Il nostro cervello è probabilmente la cosa più complessa al mondo: le ultime ricerche parlano di almeno 3.000 tipi di cellule diverse nella nostra zucca, che ricorderete conta 85 miliardi di neuroni ed un numero sterminato di sinapsi. Se siamo lontani dal capire come funziona il cervello, non parliamo nemmeno della mente, che è quella che ci rende umani.

Tutti sappiamo che il mestiere del neurochirurgo è tra i più difficili, da un lato per la complessità dell’organo trattato, dall’altro perché in TV vediamo Patrick Dempsey a fare operazioni impossibili, tutto da solo.

Tra le operazioni più comuni quelle per rimuovere tumori, che sono sempre diagnosticati e misurati con tecniche di imaging prima di aprire la calotta cranica, per poi scoprire esattamente cosa c’è dentro. È solo in quel momento, con paziente intubato e poco tempo a disposizione, che il chirurgo ha modo di capire bene l’estensione della malattia, la tipologia esatta di cellula tumorale, e dove andare ad incidere. Come capire se quelle cellule sono buone, quindi meglio lasciarle stare, oppure se sia preferibile asportarle? Più si toglie più si rischia di peggiorare la qualità della vita del paziente, ma a lasciare cellule tumorali nel cervello, la guarigione non avviene. La squadra in sala operatoria ha poco tempo per capire il tipo esatto di tumore e decidere fino a che punto tagliare: da quella scelta dipende spesso l’aspettativa di vita del paziente.

Nature ha pubblicato un bell’articolo, dove medici olandesi hanno messo a punto un motore di intelligenza artificiale che aiuta il neurochirurgo in queste scelte complesse. Sturgeon è basato sul deep learning e riesce a diagnosticare il 90% dei tumori nei 40 minuti richiesti per il sequenziamento genetico. In pratica, invece di mandare campioni di tessuto cerebrale in laboratorio per fare analisi al microscopio, il medico si trova a fianco un analista di laboratorio, molto più rapido di quello in carne ed ossa, che gli dice il tipo esatto di tumore, e da lì quali margini di sicurezza tenere.

La prima applicazione clinica è avvenuta su 25 pazienti pediatrici, e Sturgeon ha formulato una diagnosi per 18 di loro; sugli altri fortunatamente non si è espresso, mancando il corretto intervallo di affidabilità. Per dare un’idea di cosa prova a risolvere questo robot, è come riconoscere un’immagine avendo solo 1% dei pixel, e senza sapere da che frammento della foto. Questo primo esercizio ha anche messo in evidenza la necessita’ di aumentare il numero di specialisti in sala, aggiungendo almeno un neuropatologo ed un bioinformatico: in pratica non si riduce l’equipe medica, la si allarga. Il vantaggio visto finora consiste nel capire molto meglio il profilo molecolare del tumore, ed aiutare quindi il chirurgo a capire sia dove incidere, sia come proseguire il trattamento una volta ricucita la zucca del paziente.

Sturgeon non è il primo di questi sistemi di intelligenza artificiale, già a luglio visto Charm e parlato con alcuni dei ricercatori ad Harvard (per chi volesse approfondire, qui): anche loro interessati a capire meglio, e più rapidamente, le caratteristiche del tumore una volta aperta la calotta cranica.

Improbabile che vedremo questi robot nelle sale operatorie dei film, dove serve dare l’immagine del chirurgo che da solo, sudato sotto i riflettori, salva il paziente. Ma nella realtà è bello sapere che si stanno sviluppando strumenti che agevolano i veri Patrick Dempsey.


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