IL Digitale


Chip e sovvenzioni

Chi legge questa rubrica conosce la mia opinione negativa su sovvenzioni e sanzioni: quando si cerca di drogare il mercato per accelerare o vietare lo sviluppo di una produzione, si finisce inesorabilmente per sprecare tempo e soldi, e fallire l’obiettivo. Dai vaccini, al gas russo, ai chip cinesi, la minestra non cambia. 

Qualche Zafferano fa avevo previsto che, tempo poco, i cinesi sarebbero riusciti ad aggirare i divieti sulle tecnologie di ultima generazione per i chip, e questi prima o poi avrebbero lanciato un loro prodotto concorrenziale con quelli occidentali. Eccoci qua: Huawei ed SMIC, entrambe sulla lista nera dei cattivoni, in qualche modo son riuscite a lanciare un prodotto dalle performance in linea con i nostri chip più avanzati.

Occorre sapere che la Cina investe in ricerca sui chip almeno dal 2014, con un primo fondo da $19 miliardi, cui ne hanno aggiunti $27 nel 2019 ed ora altri $40, quindi $86 miliardi su un bel lasso di tempo. Soldi pubblici che il Partito Comunista Cinese ha pensato bene di mettere tutti sulla ricerca di nuovi materiali e processi produttivi. Non è sicuro quindi che le due aziende abbiano copiato i nostri prodotti, perché ci stavano lavorando ben finanziati da anni. E soprattutto perché questo nuovo Kirin 9000S, che equipaggia il nuovo cellulare Huawei Mate 60, è diverso dal concorrente TSMC, e primo in tutto il mondo, riesce a fare cose nuove.

Ecco il guaio: non solo il nuovo chip cinese garantisce prestazioni in linea coi nostri iPhone, ma fa qualcosa in più che per noi è ancora impossibile. Con questo chip si possono fare chiamate satellitari e hyper-threading a 12 core della CPU, consentendo quindi di far girare grafica ed intelligenza artificiale sul cellulare. Queste due caratteristiche non le hanno copiate.

A questo punto non conta se il Senato americano giudichi questo sviluppo una truffa, applicando altre sanzioni, oppure lo riconosca come onesto per non aver copiato. La Huawei ha un prodotto concorrenziale con i nostri più moderni, e probabilmente riesce ad avere un vantaggio di costo: prima o poi si diffonde anche al di là dei confini cinesi. Magari cresce in tutti quei paesi annoverati tra i BRICS, che badano al loro tornaconto senza più seguire i dettami di Washington.

Ogni volta che si impongono vincoli legislativi sul progresso tecnologico, si cerca di costruire una nuova trappola per topi; ed ogni volta i topolini si ingegnano ed imparano ad aggirarla. Il Chip Act di Biden ha stanziato $280 miliardi l’anno scorso, per recuperare in fretta e furia quello che i cinesi hanno sponsorizzato con molto meno ma da quasi dieci anni. Tutto questo denaro pubblico in poco tempo si traduce in spreco: sarebbe molto meglio veicolarlo attraverso le università per la ricerca di base e quella applicata pre-commerciale, ed attraverso fondi di investimento dedicati alle piccole aziende in modo da allargare il numero di concorrenti.

Quando l’università genera nuova conoscenza, ed i suoi ricercatori possono scommettere personalmente per trasformarla in prodotti innovativi sul mercato, la forte concorrenza tra loro e con le multinazionali costituisce la condizione ideale per accelerare la nostra innovazione tecnologica. Senza sprechi per i contribuenti.


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In questo numero hanno scritto:

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro