Che ci sia, estremizzando, un legame fra volumi di vendita e tasso di sopravvivenza della popolazione, detto in modo brusco, i lettori dipartiti non vengono sostituiti? Un piccolo inciso di sapore internazionale. Nel quartiere più elegante di Lugano, alla domenica le edicole chiudono (sic!) perché l’edizione domenicale del Corriere del Ticino cartacea è distribuita gratuitamente. Almeno in Italia i cosiddetti quotidiani digitali non sono in grado di sostituire tutte le copie cartacee perse. Possibile che sia così? Potrebbe essere un trend passeggero? Lo capiremo solo vivendo.
Per mettere a posto i bilanci in perdita gli Editori hanno seguito varie strategie: prima brutali ristrutturazioni convenzionali, poi accorpamenti di testate, ovvero scorporo di testate e loro vendita, modalità “spezzatino”; quindi, nuovi riaccorpamenti da parte del nuovo compratore. Ovvia la riduzione del numero dei giornalisti e delle strutture in senso lato, e dei relativi costi. Inoltre risulta sempre più radicale la separazione fra giornalisti pagati a contratto, che si tenta di mandare via, e giovani pagati “a battute” (quelli modello raider a 10 € lordi a pezzo), modifiche più o meno radicali nella struttura ruoli/responsabilità, nuove forme di divisionalizzazione/accorpamenti di funzioni, scelte nei ruoli di vertice di personaggi non del settore ma celebri, in Italia addirittura un ex Premier. Spagnolesca poi la distribuzione dei titoli di vertice: il vecchio classico direttore responsabile ormai è circondato da una pletora di direttori: editoriali, condirettori, vicari, vice direttori con funzioni, vice direttori ad personam. In pratica tutta la vecchia redazione è titolata. Sembra di essere tornati ai tempi dei Borboni di Spagna.
Intanto, gran parte del lavoro giornalistico (80%?) lo fanno, silenziosamente, le molteplici Chat che stanno nascendo nel dopo GPT, e tutti fingono che non esistano. Quando gli editori decideranno che esistono, allora faranno nuovi pesanti ridimensionamenti degli organici, con la battuta “è l’innovazione, bellezza!”
Nella definizione delle linee editoriali, gli editori hanno le stesse esigenze: incrementare o quantomeno proteggere gli investimenti nei loro business altri, e così dei principali inserzionisti pubblicitari. Altro che il mitico “Il mio unico Padrone è il Lettore”, siamo tornati al più convenzionale “Signorsì, Signor Barone!”
Nell’area di “centro sinistra” stiamo assistendo all’aumento di testate, che si dividono però gli stessi lettori, oltretutto in diminuzione.
Nell’area di “centro”, che secondo gli elettori non esiste, ma alcuni politici insistono nell’assicurare che c’è (sarà nascosta nei salotti e terrazze delle ZTL?). Indipendentemente che il “Centro” ci sia o meno, ci sono un paio di testate che fanno capo a un imprenditore focalizzato sul business degli appalti.
Stessa operazione di consolidamento delle testate di centro destra da parte di un imprenditore-parlamentare molto presente nel business della sanità privata.
Se si leggono i bilanci delle società di questi editori e dei business grazie ai quali coprono le perdite nell’editoria, si comprende come il ruolo del giornalista non possa che essere sempre più ancillare a tali business.
E’ divertente assistere, se l’editore entra, faccio un esempio a caso, nel business delle energie rinnovabili, immediatamente il battage si concentrerà sulle variazioni climatiche, sulle temperature ovunque raccolte purché siano alte, così verranno adottati come vangelo certi siti, utilizzati accademici embedded, a volte riciclati dalla mitica epopea del Covid. Lo stesso avviene se l’investitore pubblicitario opera, per esempio nella moda, e allora ecco paginate sulle sue imperdibili sfilate o i suoi ricevimenti per festeggiare il suo compleanno con i famigliari (sic!).
Mi pongo una domanda, senza alcun intento polemico, sono uomo di mondo che conosce perfettamente come funziona il CEO capitalism, le leggi ferree che lo govenano e le loro ferree oscenità. Onestamente, in queste condizioni, possiamo parlare ancora di libertà di stampa? Prosit!