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L’ospite come il pesce: dopo tre giorni…

Plauto, commediografo dell’antica Roma, per primo ci insegna che l’ospite è come il pesce: dopo tre giorni puzza. Nei tempi antichi l’ospitalità era sacra, come pure in Grecia, dove gli dèi puniscono Ciclope per non esser stato ospitale con Ulisse. Da Plauto arriviamo rapidi ad Eric Adams, sindaco di New York, che esprime lo stesso concetto a reti unificate, mandando nel pallone i democratici woke e politicamente corretti che tanto bene lo avevano accolto al comando della più grande città d’America.

Solo dieci mesi fa lui, seguito dai sindaci di Boston, Chicago ed altre città dem nel nord del paese, ci intortava dicendo che la grande mela non rifiuta nessuno: tutti benvenuti. Questa città è un santuario, e si oppone a quei demoniaci repubblicani bianchi del sud che non accolgono i migranti illegali. Bene, i governatori di Texas e Florida hanno messo i migranti sui bus e ce li han spediti, in modo che li potessimo accogliere con quel senso di fratellanza gioiosa che ci contraddistingue, quando il problema è a casa d’altri. Come ha fatto Adams a fare questa inversione a U adesso?

A NYC ad oggi sono arrivati 110.000 migranti, al ritmo di 3.000 a settimana, e man mano che passavano i mesi, la grande mela non ha trovato più neanche un buco per un bruco. I migranti sono in hotel requisiti dall’amministrazione, mentre barboni e poveracci storici restano sotto i ponti o in strutture ben peggiori di un albergo. I 20.000 ragazzini vengono distribuiti nelle scuole pubbliche, ma senza vaccinazioni, senza parlar inglese, e con l’aspettativa di imparare nella propria lingua madre (per cui son stati assunti insegnanti di lingue e mediatori culturali), siamo al caos. $12 miliardi il costo per la città che adesso, come Boston e Chicago, starnazza per avere l’aiuto federale dalla Casa Bianca: finora ha ottenuto solo ringraziamenti da Biden.

Quando Trump aveva eretto barricate con filo spinato, incarcerato famiglie e diviso adulti da bambini, era stato giustamente criticato per la mancanza di umanità nel gestire questo problema. Biden ha promesso miracoli, ha fatto cambiare la definizione da “immigrato illegale” a “non-cittadino non-documentato”, ma il nome nuovo non cambia la sostanza. Se passi il confine illegalmente, commetti un reato: se ti porti i pupi appresso, ne fai un altro. Se vieni a casa mia dicendo che sei ospite, dopo tre giorni puzzi.

In America abbiamo 11 milioni di immigrati illegali, e ne rispediamo a casa solo 72.000 all’anno, un nulla. Oltre a loro abbiamo anche 1.6 milioni di rifugiati, la cui qualifica richiede mesi di procedure legali prima di essere trasformata in un permesso di residenza e lavoro, e riusciamo ad accoglierne solo 24.000 a fronte di 60.000 rifiutati. Sia con gli illegali, sia con i rifugiati, non stiamo minimamente dietro al numero di ingressi nel nostro paese, prima o poi scoppiamo. Uno dei tanti motivi per cui gli stipendi dei nostri operai ed agricoltori non aumentano, è che buona parte di quei milioni di immigrati lavora in nero a condizioni tipiche del costruttore di piramidi egiziane: schiavi. Che fare?

È bello vedere Senatori e Governatori democratici che scendono dal piedistallo della loro morale da oratorio, ed ora chiedono a Biden di chiudere le frontiere. Le città santuario sono diventate dei Purgatori in terra, con sempre più cittadini che pensano a farsi giustizia da sé, in un paese con 454 milioni di armi da fuoco registrate ufficialmente. Anche le richieste di tagliare i budget della Polizia son tornati indietro come boomerang sulla testa di politici poco accorti.

Il tema resta caldo per le prossime elezioni, ma il nocciolo è che l’unica soluzione efficace è troppo politicamente scorretta per esser anche solo ipotizzata. Pensare di rifare quello che fece Trump è un anatema: compreremo del deodorante per gli ospiti e faremo passare la puzza. Speriamo almeno che le idee woke vengano sotterrate per sempre.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Alessandro Cesare Frontoni (Piacenza): 20something years-old, aspirante poeta, in fuga da una realtà troppo spesso pop
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro